ERACLEA MINOA

GLI INSEDIAMENTI GRECO-CARTAGINESI E ROMANI


MINOA

Fin dai tempi più remoti in vicinanza della foce del fiume Platani (un tempo Halykos), porto naturale, sono sorte città di notevole importanza. Sulle rovine dell’antica Makara i Greci, tra il XII e il VII secolo a. C., costruirono Minoa. La leggenda narra che questo nome fu messo per onorare la morte di Minosse, venuto in Sicilia per vendicarsi dell’affronto fattogli dall’architetto Dedalo. Altri pensano che la colonizzazione acheo-cretese della Sicilia abbia fatto nascere e crescere il mito di Minosse e Kokalos, per giustificare l’occupazione di gran parte dell’isola. Il prof. Ernesto De Miro ha ipotizzato che:
Tale connessione e tale leggenda, nella loro origine e nel loro valore, sono state diversamente considerate dalla critica moderna. Tuttavia, sia che la tradizione di Dedalo e Minosse in Sicilia vada vista come frutto della colonizzazione greca (di quella rodio-cretese in particolare), sia che, a parte l’aggiunta “siciliana” di particolari, il nucleo della leggenda venga considerato cretese o, comunque, formatosi a Creta avanti la colonizzazione storica in occidente; sia infine che la saga abbia origini indigene di Sicilia; in ogni caso – con il conforto del dato archeologico- … è probabile che tali contatti non siano consistiti in semplici relazioni commerciali, ma anche, in accordo con la tradizione, si sia verificato un insediamento acheo-cretese alla foce dell’Halykos la cui valle avrebbero risalito i mercanti di salgemma. Pertanto il nome di Minoa, portato dalla colonia selinuntina, avrebbe conservato il ricordo di quel lontano evento coloniale miceneo. [1]
A conferma del mito minoico, Diodoro Siculo ha affermato che Terone, tiranno di Akragas, conquistata Minoa, nel suo territorio ha scoperto la tomba di Minosse e ne ha trasportato i resti nella sua città con l’intento di restituirli ai Cretesi.  La tomba, probabilmente, si trovava su una collinetta nel territorio di Makara. È stato anche ipotizzato che Minosse fosse stato seppellito a Camico, ma il mito ci ha tramandato che il corpo del re fu restituito ai Cretesi, che per onorarlo lo seppellirono degnamente in un posto sicuro del villaggio sicano conquistato, che in seguito chiamarono Minoa.
I compagni di Minos adunque seppelliscono magnificamente il corpo del defunto (Minos) e gli innalzano un doppio sepolcro, nella parte interna del quale ripongono le ossa e sull’esterna ergono il tempio di Venere.[2]
Secondo Erodoto, Minoa nel VI secolo avanti Cristo era una colonia selinuntina. In seguito alla guerra con gli Eraclidi, fu occupata dagli Spartani di Eurileonte e parzialmente distrutta e ricostruita con il nome di Eraclea.

ERACLEA MINOA


Verso la fine del VI secolo a. C., una colonia di Spartani della famiglia degli Eraclidi, in quel tempo in condizioni politico-economiche disagiate, guidata da Dorieo, figlio secondogenito del re di Sparta, venne in Sicilia per fondare una colonia nel territorio di Erice e ridare lustro alla propria famiglia. Secondo il mito Eracle aveva conquistato la città di Erice sconfiggendone in duello il re, quindi Dorieo, considerandosi erede di Eracle, si era impadronito del territorio e vi aveva fondato la città di Eraclea. In seguito Cartaginesi e Segestani, per evitare che la città ingrandendosi divenisse pericolosa, dichiararono guerra a Dorieo e lo attaccarono.  Lo scontro fu cruento, l’Eraclea ericina fu rasa al suolo, Dorieo e una gran parte dei suoi persero la vita. Si salvò Eurileonte, che con il resto dell’esercito sbarcò alla foce dell’Halycos e riuscì a impadronirsi di Minoa, colonia selinuntina. Dopo avere sottomesso e in parte distrutto l’antica città, si dedicò alla sua ricostruzione e in onore della sua gente, che si considerava discendente del mitico eroe Eracle, la chiamò Eraclea (da quel momento fu indicata come Eraclea Minoa fino al III secolo a. C. e semplicemente come Eraclea nei secoli seguenti).
Nel V secolo a. C. si riaccese il contrasto tra Selinuntini e Spartani. Pitagora, tiranno di Selinunte, attaccando a sorpresa, s’impossessò di Eraclea Minoa e se ne proclamò re. Dopo poco tempo Eurileonte riuscì a sconfiggere Pitagora, a riconquistare la sua città e a impadronirsi di Selinunte. Il nuovo tiranno Eurileonte non ebbe vita facile, fu travolto e ucciso da una successiva rivolta dei Selinuntini.[3]
Nel 508 a. C. cadde sotto il dominio di Acragante, di cui divenne una delle più importanti colonie, oltre a segnare il confine del territorio acragantino.
Nel 409 a. C. i Cartaginesi sbarcarono in Sicilia e occuparono tutte le città esistenti nella fascia costiera occidentale che va da Mozia a Gela, tra cui anche Eraclea Minoa, che subì la stessa sorte di Selinunte.
I Selinuntini, dopo nove giorni di assedio, cedevano all’impeto delle armi cartaginesi e duemille seicento di essi, campati dalla morte o dalla schiavitù, fuggivano dalla patria, abbandonata alle fiamme, e giungevan salvi in Acragante.[4]
I greci subirono la sconfitta, ma non si rassegnarono; nel 383 a. C. attaccarono e sconfissero i Cartaginesi, Acragante fu riconquistata, Eraclea Minoa ritornò a essere colonia acragantina e il fiume Halykos a segnare il confine tra i territori di Acragante e Selinunte.
Dopo questa vittoria, alla quale di certo non mancò il concorso di Eraclea, questa città fe’ parte della lega Greco-Sicula che riconosceva per capo e governatore Gelone, nel qual tempo ebbe a perdere forse la sua autonomia, poiché in seguito non viene noverata da Tucidide tra le città libere dell’isola, nel narrare i fatti dell’infelice spedizione del Peloponneso.[5]
La guerra tra Cartaginesi e Greci continuò durante tutto il IV secolo con alterna fortuna. I Cartaginesi rioccuparono Eraclea Minoa e la tennero fino al 340 a. Cristo. Sconfitti da Timoleonte, furono costretti a firmare la pace e a cedere Eraclea Minoa e tutti i territori alla sinistra del fiume Halykos:
Il territorio acragantino era invaso dai Cartaginesi, Timoleonte nel 1° anno dell’Olimpiade CX (anni av. G. C. 340) vi scende e ne riporta tale vittoria presso il fiume Crimiso, che Cartagine ne tremò, e mandò subito ambasciatori per trattar la pace, che fu conclusa, con quel patto, che Acragante e tutte le città greche (compresa Eraclea Minoa) fossero libere, ed il fiume Alico fosse confine dei territori rispettivi. [6]
Gli Acragantini la tennero, fino a quando il tiranno di Siracusa Agatocle, nativo di Terme Selinuntine, volendo estendere il proprio dominio su tutte le città greco-puniche, nel 304 a. C. conquistò Eraclea e la mise a ferro e fuoco.
Nel 289 a. C., dopo la morte di Agatocle, Eraclea (da questo momento in poi conosciuta solo col nome di Eraclea) fu riconquistata dai Cartaginesi di Selinunte, che la tennero per circa dodici anni, fino a quando Pirro, re dell’Epiro, venuto in Italia per combattere i Romani, aiutò i Siracusani a riprendersi la città. 
Arrivato in Acragante, con un esercito di 30 mila soldati, 2 mila cavalli ed alcuni elefanti, marciò con l’intento di impadronirsi dei possedimenti Cartaginesi. Eraclea, Selinunte, Elicia, Egesta, in breve tempo soggiogate, ebbero a soffrire le crudeltà del Re Epirota, crudeltà che in seguito si ripercorsero su quegli stessi amici che poco innanzi lo avevano acclamato ed aiutato. Ma tanto costoro, che le città soggiogate, mal soffrendo le ingiurie del focoso epirota, sprezzarono la sua alterigia e lo abbandonarono. [7]
Ritornato Pirro nella sua patria, i Cartaginesi si ripresero tutti i territori che in precedenza erano stati sotto il loro dominio, tra cui Eraclea.  
Greci e Cartaginesi si alternarono nell’occupazione di tutto il territorio confinante con il fiume Halykos, fin quando i Romani con le guerre puniche non sconfissero i Cartaginesi e sottomisero tutta la Sicilia.
La prima guerra punica, combattuta dai Romani e dai Cartaginesi per il possesso della Sicilia, coinvolse direttamente il territorio e principalmente il mare Africano su cui insisteva il porto di Eraclea, importante base per la flotta cartaginese, dove nel 257 a. C. si svolsero aspri combattimenti. I Romani, guidati dai consoli Attilio Regolo e Manlio Volsone, con una flotta di 330 chinqueremi, riuscirono a sconfiggere i Cartaginesi, ad affondare parte delle loro 340 galee e a metterli in fuga. Nel 256 a. C. i Romani conquistarono a tradimento l’imprendibile fortezza di Camico, uno dei più fortificati castelli del territorio acragantino, e vi lasciarono a presidiarla una guarnigione.
Nel 241, in seguito alla pace chiesta da Cartagine, la Sicilia cessò di essere cartaginese, ma in parte continuò ad essere greca, sia pure in condizione di subalternità verso Roma. Il dominio romano dell’isola risultò, pertanto, in parte diretto e in parte indiretto: dominio diretto nei quattro quinti del territorio sia costiero che interno (praticamente  tutta la Sicilia sicula, sicana, liparota, elima, punica e in parte anche greca, giacché ne erano comprese le città di Minoa Eraclea, di Agrigento e di Catania); dominio indiretto nella fascia costiera da Taormina a Siracusa (esclusa Catania). [8]
Eraclea negli anni 214-210 si ritrova a essere nuovamente un’importante base navale per le operazioni dei Cartaginesi. Alla fine della seconda guerra punica, nel 210 a. C., la città fu definitivamente conquistata dai Romani, che erano guidati dal console Marco Valerio Lavino. Giuseppe Picone narra che la caduta di Eraclea è stata causata dalla sedizione di trecento soldati Numidi, che cedettero la città ai Romani.[9] Eraclea fu sottoposta a saccheggio e i maggiorenti catturati furono uccisi o venduti come schiavi. Le loro terre in parte furono confiscate e trasformate in ager publicus.
La storia greca di Eraclea si concluse nel III secolo avanti Cristo con la dominazione romana che la rese città decumana, cioè sottoposta a un tributo chiamato decuma, corrispondente alla decima parte del prodotto agricolo realizzato nel territorio. Da quel momento fu una delle città siciliane che contribuì a formare il cosiddetto granaio romano.  Nel corso dei secoli, la lingua greca lasciò il posto alla latina parlata, che, a sua volta, si trasformò in dialetto siciliano. I Romani erano venuti in Sicilia per aiutare a combattere i Cartaginesi, ma alla fine delle guerre puniche vi si stanziarono da conquistatori e padroni.
Sotto la dominazione romana, la città riuscì a conservare per un lungo periodo la propria magnificenza a esclusivo beneficio di Roma e dei signori locali. La gran parte degli abitanti, in qualità di schiavi o servi, coltivava le terre per i padroni romani e viveva in condizioni molto disagiate. I Romani esercitavano su di loro il diritto di vita e di morte e in qualche caso costringevano le schiave a esercitare la prostituzione nei lupanari di loro proprietà. Inutili furono gli appelli degli schiavi al Senato Romano per avere condizioni di vita meno gravose. Secondo Giuseppe Picone:
A quegli strazi, ai ripetuti richiami di quegl’infelici non si scosse né il senato di Roma, né i suoi pretori; dal che la reazione fra un mal governo che abbrutiva ed insultava, e le masse che si sollevarono a rivendicare il diritto alla vita… Macilenti per fame, e ignudi davansi quegli sventurati ai furti, alle rapine, alle scorrerie. [10]
Queste condizioni di vita erano comuni a gran parte delle popolazioni della provincia siciliana e furono determinanti nella nascita della rivolta degli schiavi. Nel periodo che va dal 139 al 104 a. C., si combatterono le guerre servili. Gli schiavi ribelli occuparono i promontori vicini al corso del fiume Halycus e scelsero come loro re Salvio, che si fece chiamare Trifone, e come sede principale Triokala. Eraclea fu al centro delle operazioni militari del console Licinio Nerva, giunto da Lilibeo per domare la rivolta degli schiavi, rifugiatisi sul “Kaprianus” (odierna collina di Montesara) e ad Ancyra (Collerotondo). L’insurrezione finì in un bagno di sangue, gli schiavi ribelli pagarono con la vita, tanti di loro furono crocefissi ed esposti al pubblico. Altri scelsero di suicidarsi per non cadere nelle mani dei Romani. La coalizione della valle del Platani, fatta di schiavi, servi e villici, fu decimata. 
In seguito alle devastazioni causate dalle guerre servili e al malgoverno del pretore Verre, che amministrava tutta la Sicilia dedicandosi a ruberie d’ogni sorta, Eraclea attraversò un periodo di profonda crisi. La città s’impoverì a tal punto di abitanti, che fu necessario ripopolarla per ordine del Senato Romano, fatto eseguire dal console P. Rupilio. Questi rastrellò servi e coloni delle varie città isolane e li condusse a Eraclea, per ripopolare la città e il suo territorio e migliorare la produzione agricola. I nuovi abitanti entrarono in conflitto d’interesse con la popolazione e il console Rupilio emanò una legge per garantire parità di diritti tra tutti i cittadini. Stabilì che fossero eletti due gruppi di senatori, distribuiti in parti uguali tra i diversi cittadini.
Nell’anno 70 a. C. la città fu visitata da Marco Tullio Cicerone, nella veste di rappresentante del Senato Romano, in cerca di elementi d’accusa contro Verre, che era stato accusato di corruzione e rapacità, misfatti commessi nel periodo in cui fu Pretore in Sicilia. Quanto biasimevole sia stata la condotta del famigerato pretore, ce ne hanno dato ampia testimonianza tutti gli storici. Giuseppe Picone ha dato un giudizio negativo su tutti i pretori che in quel periodo hanno amministrato la Sicilia: Cajo Porzio, Lucullo e Cajo Servilio, ma particolarmente pesante è stato quello espresso su Verre, chiamato “il porco”:
Questo famoso ladro spogliò impunemente le case dei ricchi e i templi, usurpò eredità, sprezzò leggi e consuetudini e ne creò ad arbitrio, inflisse tormenti, contaminò talami, prostituì matrone, tolse per sino la vita ad innocenti cittadini, facendone dello stesso lamento un reato. [11]
Legata a Verre fu la sfortunata vicenda del navarca di Eraclea Furio, mandato deliberatamente allo sbaraglio contro i pirati insieme ai navarchi delle altre città e, dopo la sconfitta e la conseguente perdita delle navi, accusato ingiustamente di viltà e tradimento. Per non essere riuscito a sconfiggere i pirati barbareschi, fu condannato a morte dal Pretore di Siracusa Verre. La colpa di Furio non fu quella di aver perso la battaglia, bensì quella di aver criticato incautamente l’operato di Verre. Aveva osato affermare pubblicamente che il Pretore, viveva nel lusso sfrenato a Siracusa, non si occupava dell’equipaggiamento dei soldati e si adoperava, innanzitutto, ad accrescere il suo patrimonio.
Aveva obbligo Eraclea di tenere ai servizi dello stato una galea i di cui marinai venivano pagati dalla stessa città. Pretore Verre, fu capitano di questa nave certo Furio nato in Eraclea, uomo illustre e di nobile famiglia. Furio ebbe il coraggio di maledire pubblicamente i delitti e le ladrerie dello infame Pretore commessi, pur sapendo che tale franchezza gli avrebbe causato la morte. Il fatto naturalmente gli procacciò la prigione, dove chiuso, mentre la madre, piangendo notte e giorno, gli sedeva dappresso, egli scrisse con gran calore la difesa della sua causa nella quale nessuna perfidia del Pretore venne obliata. Fu allora che questa orazione in Sicilia venne da tutti letta e da tutti ripetuta e per la quale tutte le scellerataggini di Verre furono messe a nudo. Ma questi non dimenticò di sopprimere un testimonio per lui tanto pericoloso, lusingandosi di celare così i suoi delitti. Condannato, Furio, intrepido affrontò la morte. [12]
Eraclea continuò a dominare nei territori circostanti la valle dell’Halykos per altri due secoli. Poi lentamente cominciarono a svanire la potenza e la forza che l'avevano caratterizzata. Si narra che in questo periodo un forte maremoto abbia causato la distruzione del porto e abbia fatto franare parte delle mura di cinta della città e delle case.[13] Lo straordinario fenomeno gettò nel panico gli abitanti di Eraclea, che si rifugiarono nei dintorni. In seguito, per proteggersi dalle scorrerie dei primi invasori africani, tra il IV e il VI secolo abbandonarono la città e le fattorie dei dintorni e si stabilirono in luoghi più sicuri. Occuparono i promontori della valle del Platani e coltivarono le terre vicine. In questo periodo fu ripopolata un’antica fortezza sicana del monte Platanos e la nuova città prese il nome di Platano. 
Tra i grandi artisti nativi di Eraclea è doveroso ricordare la figura di Zeusi, vissuto tra la fine del V secolo a. C. e la prima metà del IV. Di lui ci parlano alcuni storici e lo definiscono come uno dei più grandi artisti dell’antichità per l’originalità dei temi trattati e per la bellezza delle figure dipinte e scolpite. Gli storici ci hanno tramandato che Zeusi un giorno si è presentato ad Atene per partecipare a una mostra di pittura (la Quadriennale) ed è apparso conciato in strano modo:
Strano personaggio con cavalletto, pennelli e colori, avvolto in una preziosa tunica su cui era ricamato in oro il nome del titolare: Zèusi di Eracleia. Agatarco lo sfidò ad improvvisare un affresco su due piedi per vedere chi, di loro due, faceva prima. Zèusi rispose: Tu certamente, che puoi mettere la firma su qualunque sgorbio. La mia è riservata ai capolavori. [14]
Zeusi è ricordato, inoltre, per la sfida con un altro grande pittore: Parrasio. In quest’occasione espose una natura morta: dei grappoli d’uva. Si racconta che i grappoli erano così verosimili da indurre gli uccelli a beccarli. È stato l’autore delle seguenti opere, che purtroppo non ci sono pervenute: una raffigurazione di una famiglia di centauri, il dipinto per il tempio di Hera di Crotone, raffigurante la bellissima Elena, un’opera dedicata a Zeus e agli altri dei dell’Olimpo, una figura di atleta, un Ercole bambino che uccide con le mani un serpente e tante altre opere meno note, tra cui delle sculture di teste dalle grandi forme. A Zeusi sono stati pure attribuiti il conio delle monete di Eraclea e alcuni vasi fittili istoriati. [15]
           
Cenni archeologici.

Le testimonianze archeologiche, che ci parlano di Makara, sono del tutto inesistenti, ad eccezione della grotta di Capobianco, dove sono state riscontrate tracce di un insediamento risalente al periodo preistorico. Sono, invece, di gran rilevanza i reperti che ci parlano della città arcaica, risalente al VI secolo a. C., cioè Minoa. Essa occupava:
La parte occidentale dell’altopiano di Capobianco, più vicina al fiume, poiché da quella zona provengono i pochi elementi che conosciamo… I resti di un muro in mattoni crudi (altezza 0,50) sono stati riconosciuti in un saggio al disotto delle fondazioni della cortina ellenistica a sud della torre E.; essi appaiono sicuramente datati nella seconda metà del VI secolo. [16]
Nel 1907 sotto la direzione di Salinas fu eseguito un saggio di scavo che mise in luce una parte delle mura della città antica. Nella seconda metà del XX secolo, per opera degli archeologi e soprintendenti: Pietro Griffo e Ernesto De Miro (1950-1965), J.A. De Waele (1970-1971), R.J.A. Wilson (1980), Graziella Fiorentini e Domenica Gullì (1992-1993) e Maria Serena Rizzo (2003-2008), si sono svolte delle campagne di scavi, che hanno portato alla luce reperti e testimonianze molto interessanti: il teatro e le mura della città di Eraclea, il santuario ellenistico, abitazioni risalenti a vari periodi storici, la casa delle anfore, due necropoli (un’arcaica e l’altra ellenistica), una villa romana, una basilica paleocristiana del V secolo dopo Cristo e resti di abitazioni risalenti a periodi diversi.
Il teatro di Eraclea Minoa, oggi famoso in tutto il mondo, è stato costruito tra il IV e il III secolo a. C. ed è formato da una cavea semicircolare divisa in nove settori. È sistemato nella cavità di una collinetta a Nord del pianoro dell’antica città. Il Koilon, come per i teatri di Atene e Siracusa, è aperto verso Sud di fronte al mare Mediterraneo. I sedili sono stati costruiti con conci di marna, soggetti alle intemperie del tempo, e più volte sono stati restaurati e protetti con coperture temporanee. La praecinctio e l’ambulacro perimetrale sono stati ricavati dalla roccia viva.[17]
A Sud del teatro insistono delle abitazioni soprapposte, risalenti ai periodi ellenistico e romano. Esse sono state distrutte (probabilmente con le guerre puniche) e ricostruite durante la dominazione romana.  Nel piazzale è stata scoperta la casa delle anfore, così chiamata per le numerose anfore da trasporto rinvenute nella zona, risalente al periodo compreso tra il IV e il II secolo avanti Cristo.
Sulla collina sovrastante, a Nord-Ovest del teatro sono stati rinvenuti resti di un santuario ellenistico.
 Si tratta degli avanzi di un tempio di cui rimangono tratti delle fondazioni in conci squadrati della peristasi (lati sud ed est) e, all’interno, le fondazioni in piccole pietre del vano antistante alla cella; al tempio è da riferire qualche rocchio di colonna in pietra di marna (diam. 0,90) trovato nel terreno vicino; l’edificio è disposto nord-ovest-sud-est.[18]
Le mura, su cui si aprivano tre porte d’accesso alla città, risalgono a quattro periodi diversi, che vanno dal IV al I secolo a. C.:
Lungo il percorso del settore Nord-orientale sono riconosciute n.3 porte, in corrispondenza di altrettanti passaggi che a guisa di valloncelli, salgono dalla valle del Platani verso la città; e n. 8 postierle, difese da altrettante torri quadrangolari. [19]
Al di fuori delle mura della città, in contrada Vizzì sono state individuate due necropoli, una arcaica e l’altra ellenistica, e una villa romana o fattoria, abitata fino al V secolo dopo Cristo.
Negli anni 1992-1993 la Sovrintendente ai Beni Culturali di Agrigento Graziella Fiorentini, con la collaborazione dell’archeologa Domenica Gullì, ha individuato e messo in luce una basilica paleocristiana e un coemiterium, risalenti al IV-V secolo dopo Cristo. Sono stati rinvenuti in precario stato di conservazione alcuni scheletri, numerosi oggetti ornamentali, lucerne e monete.[20]  
Nell’antiquarium, esistente in zona, è possibile ammirare alcuni interessanti reperti: materiale preistorico, proveniente dalla contrada Vizzì, una testina fittile femminile, un’arula in pietra, anse di anfore, vasi-sepolture, corredi delle sepolture, monete, utensili e piccole sculture. Altre testimonianze particolarmente interessanti sono custodite presso il museo civico di Agrigento.



[1] Ernesto De Miro, Itinerari dei musei, gallerie e monumenti d’Italia, n.110, p. 4.
[2] Diodoro, Lib. IV, in G. Caruselli, Sulla storia della Sicilia antica, osservazioni e ricerche, 64.
[3] Cfr. F. Renda, Storia della Sicilia, I, 67-68.
[4] G.Picone, Memorie storiche agrigentine, 108.
[5] Diodoro – lib. XI, cap. 26 e 38; in G. Caruselli,  Sulla storia della Sicilia antica, 79-80.
[6] G. Picone, Memorie storiche agrigentine, 181.
[7] G. Caruselli, Sulla storia della Sicilia antica, 82.
[8] F. Renda, Storia della Sicilia, 1, 122.
[9] Cfr. G. Picone, Memorie storiche agrigentine, 208.
[10] Ibidem, 247-248.
[11] G. Picone, Memorie storiche agrigentine, 254.
[12] Cicerone – Act. VI in Verre; G. Caruselli,  Sulla storia della Sicilia antica, 85.
[13] Oggi i vulcanologi ritengono di avere individuato nelle vicinanze della costa un vulcano sottomarino. Il dato è confermato dai ritrovamenti di alcuni subacquei, tra cui il dott. Macaluso.
[14] I. Montanelli, Storia dei greci, 147.
[15] Cfr. G. Caruselli,  Sulla storia della Sicilia antica, 78.
[16] E. De Miro, Eraclea Minoa, 10.                                                                                                               
[17] Cfr. E. De Miro, L’Antiquarium e la zona archeologica di Eraclea Minoa, 15.
[18] E. De Miro, Ibidem, 17.
[19] E. De Miro, Eraclea Minoa, 12.
[20] Cfr. G. Fiorentini, la basilica e il complesso cimiteriale paleocristiano e protobizantino presso Eraclea Minoa, in “Bizantino - Sicula”, IV, Atti del 1° congresso internazionale di archeologia della Sicilia Bizantina, 240.

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