La fondazione di Cattolica
Tratto dal libro "Da Eraclea Minoa a Cattolica" di Lorenzo Gurreri
LA FONDAZIONE DI CATTOLICA
Nel periodo di tempo che va dalla rivoluzione del vespro (1282) agli inizi del XV secolo, la storia della Sicilia è caratterizzata dalla lunga guerra con il regno di Napoli, che non voleva riconoscere l’indipendenza del regno di Sicilia. I contrasti ebbero fine, quando la Sicilia, in seguito a successioni varie, divenne dipendenza del regno di Spagna.
Durante il secolo XVI i regni di Spagna e di Sicilia, attraversarono un periodo di crisi economica, dovuta a calamità naturali come le carestie ricorrenti, all’aumento della popolazione, alle accresciute esigenze della Corona in materia di tasse e all’insufficiente produzione di grano per sfamare la popolazione. In Sicilia si verificò un aumento talmente sproporzionato da raddoppiare la popolazione. Negli anni 1600 – 1608 contava circa un milione d’abitanti. Fu necessario aumentare la produzione di grano, mettendo a coltura le terre demaniali e feudali incolte. S’intendeva rendere autosufficiente la Sicilia e farle riacquistare il ruolo di granaio del regno, così come l’aveva avuto nel periodo della dominazione romana.
Nei primi anni del secolo XVII, regnante Filippo III, la monarchia spagnola promosse in Sicilia un’intensa azione d’urbanizzazione delle campagne, al fine di renderle più sicure e più produttive. Per invogliare i feudatari a collaborare furono stabiliti nei Capitoli del Regno delle ricompense per coloro i quali, provvisti delle necessarie risorse economiche, avessero costruito un centro abitato nelle terre demaniali (in seguito anche nelle terre feudali) o ingrandito i villaggi esistenti. Ai fondatori e agli eredi era riconosciuto il mero e misto impero sui loro domini, un seggio in Parlamento per ogni nuova università creata e un titolo nobiliare, che si accresceva in misura proporzionale alla grandezza e all’importanza dell’abitato realizzato. L’aumento della popolazione delle universitas consentiva di rendere coltivabili e produttive le terre che da secoli erano rimaste incolte. Dal conseguente aumento della produzione cerealicola e dalla concessione dei titoli nobiliari lo Stato ricavava più utili con le varie tassazioni, i feudatari più potere e ricchezza e il popolo la possibilità di trovare lavoro e protezione. L’aristocrazia urbana, residente principalmente a Palermo, tra cui la famiglia Isfar o De Isfar, sfruttò l’occasione offerta dalla Corona e si rese protagonista del movimento di urbanizzazione dei loro feudi.[1] Il barone di Siculiana Blasco Isfar, per ingrandire i suoi domini, già nel 1587 aveva comprato la baronia di Baida per 28.800 onze da Vincenzo Bosco di Misilmeri. Negli anni seguenti continuò a ingrandire e valorizzare i suoi possedimenti con la costruzione di casali e villaggi.
Le terre, bagnate dall'ultimo tratto del fiume Platani, costituenti il feudo di Monforte ossia di Platani, insanguinate dalle lotte contro i saraceni e dalle precedenti guerre tra Aragonesi e Angioini, durante il secolo XVI erano insicure e con popolazione sparsa nei piccoli villaggi collinari o che si era trasferita nei comuni vicini. Per tale motivo, una gran parte delle terre del feudo Monfortis seu Platani del barone Blasco Isfar et Corilles era rimasta incolta.
Scomparsa la città di Platano, abbandonati i casali di Maniscalco, Platanelli e Capodisi, a protezione del feudo rimase soltanto la rocca di Monforte. Contadini, pastori e pescatori (in quel tempo il fiume era molto ricco di pesce), esposti a ogni sorta di pericolo, cercarono protezione presso i signori dei paesi vicini: Raffadali, Girgenti, Sant’Angelo Muxaro, Montallegro. Alcuni si adattarono a vivere in piccole comunità, utilizzando rustiche capanne, casalini e talvolta grotte strutturate alla bisogna.
Sul finire del secolo XVI, tra 1580 e il 1590, Blasco Isfar iniziò la costruzione di un centro abitato che chiamò Ingastone, come la contrada su cui insisteva. Si trattava di un villaggio agricolo-pastorale, necessario a raccogliere i coloni sparsi nel territorio vicino e utilizzarli per aumentare la coltivazione delle terre e la produzione di grano. Ingastone fu costruito ai piedi della rocca di Monforte, in una zona collinare incolta, ricca di acque per uso civico e di cave di gesso. Tutto il feudo Platani seu Montifortis in questo secolo era ritornato a essere possedimento della famiglia Isfar e quindi a far parte della baronia di Siculiana.
Il predetto feudo era stato concesso in enfiteusi dall'arcivescovo di Palermo Ubertino De Marinis al barone di Siculiana Gilberto De Isfar, come risulta dall'atto del notaio Urbano De Sinibaldo del dicembre 1433, citato in precedenza. Nel 1561, dopo varie successioni, il feudo fu ereditato da Blasco Isfar et Corilles, essendo il fratello Giovanni morto senza lasciare eredi. Blasco Isfar et Corilles, secondogenito di Francesco, era un importante esponente dell’aristocrazia isolana, abitava con tutta la famiglia a Palermo e il 9 febbraio 1570 (era nato nel 1550) aveva ottenuto l’investitura della baronia di Siculiana e del tenimento Monfortis seu Platani, dietro pagamento dell’annuo censo di 100 onze all’Arcivescovado di Palermo.
Dopo aver ricevuto l’eredità, il giovane capitano d'armi, consigliere del re, per rispettare i patti della concessione enfiteutica, per dar lustro alla propria casata, per ingraziarsi le attenzioni del re e per sfruttare al meglio le risorse della fertile valle del Platani, iniziò la costruzione di una rocca con attorno delle case, dove agricoltori e pastori potevano, all’occorrenza, trovare riparo e protezione. Quel piccolo villaggio prese il nome di Ingastone (dal feudo dove sorgeva). L’iniziativa ebbe buon esito, i feudi della famiglia De Isfar cominciarono a ripopolarsi, venne tanta gente dai paesi vicini e nacque in Blasco[2] l'idea di costruire una vera e propria università.
Nell'ultimo decennio del secolo XVI il barone diede maggiore impulso e consistenza alla costruzione del novello paese, agevolando tutti quelli che volevano stabilirsi in Ingastone. Stabilì un censo molto favorevole, sia per le case sia per le terre, probabilmente di misura inferiore a quello stabilito dai signori dei paesi vicini, in ogni caso con delle agevolazioni importanti per quanto riguardava l'uso delle cave, delle acque e delle terre comuni, tanto da attirare molta gente. Nel 1603 Ingastone contava circa 500 anime, fu aperta al culto la chiesa di Sant’Antonio Abate e furono iniziati i lavori per costruire altre chiese, tra cui quella che sarebbe stata la matrice: la chiesa dello Spirito Santo (Chiesa del Rosario 1608). Il barone fu sicuro di potere realizzare quanto si era proposto, spedì la richiesta d’autorizzazione a poter popolare il feudo di Monforte e creare una novella università. Blasco, che ricopriva tra l’altro la carica di Vicario Generale del Val di Mazara, fu uno dei promotori del progetto d’urbanizzazione dei feudi, che vide in Sicilia la nascita di cento nuovi comuni.
Il caso di Cattolica non è un fatto isolato, tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII sorsero in Sicilia oltre 100 comuni che modificarono la struttura urbanistica dell’isola.[3]
Per la costruenda università fu scelto il nome di Cattolica al fine di rendere omaggio alla corte reale e all’arcivescovado di Palermo, manifestando l’intenzione di diffondere il cattolicesimo in quelle terre ancora infestate da costumi e usanze saraceni ed ebraici. Blasco, aiutato dai figli Giovanna e Francesco, incoraggiato dalla corte palermitana, continuò a ingrandire il paese, iniziando a costruire le prime chiese e nell’anno 1610 arrivò la sospirata licentia populandi, vale a dire l'autorizzazione a poter fondare l'università, chiamata la Cattolica. L'illustre storico Raimondo Falci ha affermato che:
Don Blasco Isfar et Corilles traduceva in atto il suo disegno e su la collina d'Ingastone, dolcemente declive verso scirocco, appié di Monforte otteneva dal viceré, Duca di Escalona, di edificare una nuova città: Cattolica, nome imposto dai patrizi in omaggio alla religione, ma ancor più alla maestà cattolica di Filippo Ill".[4]
Il barone del feudo Monforte o Platani, per rispettare i patti della concessione enfiteutica, per dar lustro alla propria casata, per ingraziarsi le attenzioni del re e dell’arcivescovo di Palermo e per sfruttare al meglio le risorse della fertile bassa valle del Platani, progettò la costruzione dell’università, cambiando il nome del villaggio Ingastone in Cattolica. Probabilmente il 1603 fu l’anno in cui Blasco Isfar chiese la licentia populandi, come si era soliti fare, per ottenere dal re l’autorizzazione a costruire una novella università, che avrebbe dovuto assicurare al giovanissimo figlio Francesco prestigio e un seggio in Parlamento. La licentia populandi, solitamente, era concessa come ricompensa per i servizi prestati alla corona e dietro pagamento di una tassa che variava dalle 100 alle 400 onze. Sembra opportuno riportare fedelmente il testo della licentia populandi, pubblicato da Marcello Renda, trascritto dall’originale giacente presso l'Archivio di Stato di Palermo, Protonotaro del Regno anno 1609 -1610, vol. 500:
Privilegium habitandi Baroniam di Platani seu Montisfortis Pro speetabilis barone Siculiane -(PHILIPPUS etc) Vicerex et generalis capitaneus in hoc Sicilie Regno D.Blasco [sfar et Corilles Baroni Siculiane consiliario Regio Di/eeto salutem. . Cum teneatis et possideatis pervos, heredes et successores vestros feudum et baroniam Platani seu Monfortis sitam in valle Mazarie suis finibus limitatam, cum eis pertinenciis prerogativis mero et mixto imperio, ut latius tenore Privilegiorum est videre; cumque baronia iam dieta sit fructifera apta ad habitacionem satisque a locis demanialibus distet atque ab id in ea edificare et habitacionem construere (intendatis); cum ibidem ab habitacione in ea baronia fienda maximum sequatur Sacre Catholice Maiestati servicium ob augumentum seminerii et regnicolis commodum assecuratur etiam viatoribus iter; et cum non valeatis absque Curie licencia habitacionem predietam facere nobis supplicacionem fecistis quatenus potestatem et facultatem edificandi et habitacionem construendi pro ut alii Barones concedere dignaremur nos vero attentis et consideratis com modo et utilitate non modica que ab habitacione locorum frumentariorum Regie Curie et Regnicolis sequuntur (ampliantur enim arbitria frumentaria, crescunt recolleetiones et traetarum introitus, assecuratur viatoribus itere et regnum ipsum decoratur) supplicacionibus vestris favorabiliter annuentes, habita prius informacione ab officialibus regiis civitatum Agrigenti, Sacce et Sutere et facta nobis a Consilio Patrimoniali Relacione, fuit in causis patrimonialibus provisum Panormi V Maij VIII indicionis 1610 concedatur. Pro cuius decreti observacione et execucione, de certa nostra sciencia deliberate et consulto, vobis vestrisque heredibus et successoribus in perpetuum licenciam auctoritatem et potestatem edificandi et populacionem in dieta baronia faciendi ex nun concedimus et impartimur Ritaque:libere et impune possitis et valeatis dietam baroniam edificare habitare populare et in ea novam habitacionem facere cum omnibus personis utriusque sexus in eaque turrim, fortilicium sive castrum ad vestri vestrorum libitum construere et edificare,ipsam in terra m sive casa le reducere muris turribus et aliis necessariis munire circumdare, ipsamque terram nominare et vocare Catholica; in qua abeatis omni modo iurisdicionem et possitis imponere percipere et ha bere omnia iura gabellarum, dogane, baiulive, arrantarie, zagati et alia quecumque, que habent et habere consueverunt potuerunt et debuerunt ceteri barones Regni predicti vassallos habentes, pro ut melius inter vos et incolas ac habitatores terre prediete fuerit pactatum et accordatum. V olumus etiam ut vos et successores vestri in terra iam dieta possitis et valeatis uti, frui et experiri omnimodo iurisdicionem iuxta formam privilegiorum et Regni Capitulorum et in ea castellanum, secretum, cappellanum, iudicem, iuratos et alios officiales necessarios et opportunos ordinare vobis vestrisque heredibus et successoribus benevisos cum ominibus et singulis iurisdidonibus, honoribus et oneribus solitis et consuetis, ita et ut pro habent et utuntur, habere et uti possunt castellani et alii officiales aliarum terrarum, et pro ut vobis vestrisque heredibus et successoribus placuerit et melius visum fuerit positosque institutos receptos et ordinatos, toties quoties vobis et successoribus vestris expediens videbitur,;.amovere et alius de novo creare et eligere: nec non possitis et valeatis cum habitatoribus terre iam dide con tracta re ordinaciones statuta et alia facere, pro ut melius inter vos, heredes et successores vestros et habitatores ipsos fuerit ordinatum, padatum et accordatum: possitis et valeatis frui et gaudere omnibus dignitatibus, iurisdicionibus, prerogativis, preheminenciis, honoribus et omnibus aliis, (dignitatibus iurisdicionibus) quibus ceteri barones vassallos habentes in hoc Regno de jure et ex privilegiis ac literis et consuetudinibus, quas in presenti pro expressis haberi volumus, utuntur et gaudent, uti et gaudere possunt et debent; et demum possitis omnia alia et singula gerere, facere,administrare, mandare et disponere que ceteri barolles eiusdem Regni vassallos habentes ex concessis a nobis et predecessoribus nostris facultatibus gerere, facere et mandare quomodolibet potuerunt et soliti sunt, iuribus tamen Regie Curie et alterius cuiuscumque semper salvis; que omnia supradida per vos et vestros heredes et successores, ut supradidum est, gerenda, facienda et constituenda ex nunc pro tunc auctoritate regia, qua fungimur, reservato tamen assensu et Confirmacione a Catholica Maiestate Regis Domini Nostri infra annos duos a die datae presentium numerandos obtinenda, ratificamus, confirmamus et nostre huiusmodi confirmadonis decreti et auctoritatis munimine et presidio roboramus et validamus, mandantes propterea officialibus specialibus (magnificis) et nobilibus Regni predicti, magistro iusticiario, presidibus, regiorum tribunalium iudicibus, Magne Regie Curie magistris racionalibus, thesaurario et conservatori regii Patrimonii, advocatis quoque et provisoribus fiscalibus ceterisque demum universis et singulis officialibus maioribus et minoribus, presentibus et futuris, qocumque officio titulo dignitate vel potestate fungentibus, quatenus presentem nostram licenciam, auctoritates potestates et facultates omniaque et singula preditta vobis et successoribus vestris ad unquem exequantur, compleant et observent, exequi compleri, et observari fa cia n t iusta eorum series consistencias et tenores pleniores, et non secus agant, agire perm itta n t ratione aliqua sive causa per quanto graciam regiam caram habent, et penam ducatorum mille fisco regio applicandam, quibus imponi potest, cupiunt evitare. In cuius rei testimonio presens privilegium fieri iussimus nostra subscriptione magnoque regio sigillo a tergo munitum. Datum Panormi die 24 Maii VIII indicionis 1610. El Marques.[5]
Ritengo utile, per la comprensione del documento e per capire le motivazioni e la struttura organizzativa di Cattolica, proporre la traduzione della licentia populandi:
Privilegio di popolare la Baronia di Platani ossia di Monforte in favore dell'illustre Barone di Siculiana. Filippo etc... Noi Viceré e Capitano Generale in questo Regno di Sicilia al diletto Don Blasco Isfar e Corilles (si pronuncia Coriglies), Barone di Siculiana e Consigliere del Re, salute. Poiché tenete e possedete per voi e i vostri eredi e successori il feudo e la Baronia di Platani ossia di Monforte, sita nella valle di Mazara, con quelle pertinenze e prerogative, con mero e misto impero, come di solito avviene in più vasto campo secondo il tenore dei privilegi; e affinché la Baronia predetta sia fruttuosa e adatta a essere popolata, essendo anche abbastanza lontana dai luoghi demaniali e Voi per ciò intendete costruire in essa delle abitazioni, affinché in tal modo con le case che devono essere costruite in quella Baronia, si ottenga il maggior beneficio possibile e si faccia il miglior servizio alla Sacra Cattolica Maestà con l'aumento delle terre seminative e degli abitanti, infatti, così è resa sicura la via ai viandanti e, poiché Voi non potete farlo senza la licenza di costruire, rilasciata dalla Curia, e l'avete richiesta a Noi, ci degniamo concedervela come agli altri Baroni. Noi in verità, visto e considerato il vantaggio e l'utile non modesto, che ottengono dall’abitazione dei terreni seminativi la Regia Curia e gli abitanti (poiché si ampliano le possibilità di produzione, si accresce la quantità delle somme ricavate, si assicura la via ai viandanti e il Regno stesso ne è ornato), cedendo favorevolmente alle vostre preghiere, presa prima l'informazione dei Regi Ufficiali delle città di Girgenti, Sciacca e Sutera e fattaci pervenire la relazione del Consiglio Patrimoniale, fu provveduto nei documenti patrimoniali: Palermo 5 maggio VIII Indizione 1610 affinché sia data la concessione. Per l'osservanza e l'esecuzione di questo decreto, scritto di certa nostra scienza, deliberiamo e stabiliamo, da oggi in poi, la licenza in perpetuo ai vostri eredi e successori e la potestà di costruire case e fare accumulare la popolazione nella predetta Baronia, affinché liberamente e impunemente possiate edificare, abitare, popolare la detta Baronia e in essa stabilire la nuova residenza e abitarvi con tante persone di entrambi i sessi e in essa costruire una torre, un fortilizio o un accampamento a piacere vostro e dei vostri, di trasformarlo in Terra o in casale, di circondare e difendere con mura, torri e altre fortificazioni necessarie e di appellare CATTOLICA la stessa Terra, nella quale avrete ogni giurisdizione e potrete imporre, avere e percepire tutti i diritti delle gabelle, della dogana, del baiulato, del monopolio sulle mandrie e qualunque altra abbiano, o siano stati soliti di avere, poterono e dovettero gli altri baroni del predetto Regno che abbiano avuto vassalli, e, affinché migliori siano i rapporti e le convenzioni tra Voi e gli abitanti della Terra predetta, vogliamo che Voi e i vostri successori nella Terra anzidetta possiate e siate in grado di praticare, godere ed esercitare ogni giurisdizione, secondo la forma dei privilegi, come dai Capitoli del Regno, e in essa nominiate il Castellano, il Cappellano Segreto, il Giudice, i Giurati e gli altri ufficiali necessari e opportuni, scegliendo tra coloro che siano benemeriti presso di Voi e i vostri successori, con tutte le giurisdizioni, gli onori e i doveri soliti e consueti, così come amministrano e son soliti e possono amministrare i castellani e gli altri ufficiali delle altre terre e come a Voi e ai vostri eredi e successori sarà piaciuto e sembrato meglio, vi parrà opportuno riformare gli istituti ricevuti e ordinati da Voi e dai vostri successori e crearne altri nuovi, affinché siate in grado di contrattare regolamenti e statuti con gli abitanti della Terra anzidetta e siate in grado e possiate fare altre cose come meglio sia stato stabilito da Voi, dai vostri eredi e successori, e godere di tutte le dignità, le prerogative, le preminenze e gli onori e di tutte le altre cose che hanno e godono di avere, e possono e debbono avere gli altri baroni aventi vassalli, sia secondo il diritto vigente in questo Regno, sia secondo i privilegi e le consuetudini che in presente vogliamo siano espressamente rispettate, e di nuovo possiate compiere, amministrare, comandare e disporre di tutte le altre singole cose, che gli altri baroni dello stesso Regno, aventi vassalli poterono e furon soliti, secondo le facoltà, concesse da Noi e dai nostri predecessori di fare e amministrare a loro modo ed anche secondo i diritti della Regia Curia e di qualunque altro modo, fatte salve sempre tutte quelle cose sopra dette, che debbono essere fatte, costituite e amministrate a mezzo di Voi e dei vostri eredi e successori, come stato detto sopra, ora per allora secondo l'Autorità Regia che Noi rivestiamo. Riservato tuttavia l'assenso e la conferma della Cattolica Maestà del Re, Signore Nostro, che si deve ottenere entro due anni da contarsi dalla data del presente, ratifichiamo e confermiamo e col presidio di questa nostra affermazione, del decreto e della nostra autorità corroboriamo e convalidiamo, ordinando, inoltre, agli Illustrissimi e Magnifici Nobili del predetto Regno: al maestro Giustiziere, ai Presidi dei Regi Tribunali, ai Giudici della Magna Regia Curia, ai Maestri Ragionieri, al Tesoriere e al Consigliere del Regio Patrimonio ed anche agli Avvocati e ai Provveditori Fiscali e infine a tutti gli altri Ufficiali maggiori e minori, qualunque Ufficio o titolo o dignità o autorità rivestano fino ai presenti, che sempre eseguano, compiano e osservino, secondo il giusto, l'autorità, la potestà e la facoltà e tutte le singole cose anzidette, date a voi e ai vostri successori a mezzo del Nostro Decreto e facciano, con molta attenzione, compiere e osservare, secondo l'ordine, la continenza e il buon tenore di vita e non permettano il contrario per nessuna ragione, e se ciò avvenga, può essere inflitta a quelli che sbagliano la pena di mille ducati, che deve essere applicata dal Regio Fisco, in testimonianza di ciò, ordiniamo che il presente Privilegio sia munito della nostra firma e del gran sigillo del Re a tergo. Palermo 24 Maggio VIII Ind. 1610. (Il Marchese di Villana, Juan Fernandez Paceco).
Un anno dopo aver ricevuto la licentia populandi, precisamente il 24 marzo 1611,[6] don Blasco Isfar et Corilles donò al figlio Francesco, ministro della Nobile Compagnia della Carità di Palermo e Capitano di Giustizia di Palermo negli anni 1606-1607
Pheudum et Baroniam Platani seu Monfortis ad presens vocatam la Terra di Cattolica, sita et posita in Valle Mazarie cum eius feudis vassallis utriusque sexus et cum titulo Baronis.[7]
Un anno dopo arrivò la definitiva approvazione del re e fu ufficializzata la nascita dell'università o terra, chiamata Cattolica e il 22 marzo del 1612 Francesco prese l’investitura della baronia. Pochissimo fu il tempo che il giovane barone Francesco dedicò ad amministrare il neo-comune, perché la morte prematura, avvenuta a Salerno, non gli consentì di ricevere in tempo l’approvazione dell’investitura a Duca e di svolgere pienamente l'incarico assegnatogli dal padre. Nell’ottobre del 1612 Blasco Isfar s’incontrò ad Agrigento con padre Fra Miguel delle Piaghe, che aveva fama di essere un sant’uomo, e rimase così colpito dalla sua religiosità, che gli promise una rendita annuale e tutto l’occorrente per fondare un convento con annessa una chiesa nella sua baronia. Dopo qualche perplessità, per intercessione del vescovo don Vincenzo Bonincontro Fra Miguel si trasferì a Cattolica e iniziò la costruzione del convento e della chiesa dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio.[8] Francesco, dopo aver ricevuto l’investitura della baronia, si era trasferito a Salerno, la città dove trovò la morte in circostanze misteriose. Blasco aveva continuato ad amministrare il paese e ricevette il 27 marzo del 1615 da Filippo III il titolo di duca e 1'elevazione della baronia di Cattolica a ducato, dietro pagamento della somma di 12.000 ducati. Nel settembre del 1615 il duca Blasco Isfar et Corilles morì a 65 anni e fu sepolto a Palermo nel Pantheon di San Domenico, in un sarcofago che si trova al centro della parete destra. Il sarcofago, in prezioso marmo nero, fu fatto erigere dalla figlia Giovanna per seppellirvi degnamente entrambi i genitori. Ai lati del sarcofago, sorretto da due leoni, sono incisi gli stemmi di famiglia Isfar, Corilles e Del Bosco.
Nel 1861 per opera dei Domenicani il sarcofago fu spostato per dar posto al monumento dedicato a Francesco Crispi. Il trasferimento è testimoniato dalla seguente iscrizione posta sulla parete:
Ne indecore iacere
huc trasferri voluere
dominicianae familiae alumni
Anno MDCCCLXI
Durante lo spostamento si è smarrita la lastra di marmo posta vicino al sarcofago, che era del tenore seguente:
Don Blascus Isfar et Corilles,
Catholicae Dux,Siculianae Dominus,
inter Regni proceres seu domi sive militiae
unicus heros pauperumque pater,
XIII attingens lustrum hic cum D. Laura Caietano,
virtute ut lege coniuge degnissima contegitur.
D. Johanna del Bosco Misilmerii et Catholicae Dux filia
Non sine lachrimis P.[9]
Dalla traduzione della scritta della lapide si evidenzia che per volere della figlia Giovanna:
Don Blasco Isfar et Corillas (o Corilles) Duca di Cattolica e Signore di Siculiana, fra i patrizi del Regno grand’uomo incomparabile in pace e in guerra, benefattore dei poveri, giungendo al tredicesimo lustro (65 anni) fu qui seppellito unitamente a Donna Laura Cajetano, degnissima e virtuosa moglie, per essere uniti per sempre.
Il primo ottobre del 1616 il titolo di duchessa fu ereditato da Giovanna Isfar et Corilles, la quale si era sposata nel 1609 con Don Vincenzo Del Bosco, Duca di Misilmeri, primo Conte di Vicari, Barone di Prizzi e Palazzo Adriano, Straticoto di Messina, Cavaliere del Toson D’oro, Pretore di Palermo (1652-1654) e uno dei dodici Pari del Regno.
La duchessa, collaborata dal marito, dal cappellano segreto don Vincenzo Ingraudo, dal notaio Raffaele Pontorno e dagli altri giurati della Terra della Cattolica, diede nuovo impulso all'immigrazione di coloni e al sorgere di nuove costruzioni. Completò le opere iniziate dal padre (tra cui la chiesa intitolata allo Spirito Santo) e dal fratello, e avviò la costruzione di nuove chiese. Il marito, preso dai propri impegni derivatigli dalle cariche ricoperte a Palermo e Misilmeri, diede poco aiuto alla consorte nell'amministrare il novello ducato, che per concessione di Filippo III l’8 agosto 1620 fu elevato a principato. Giovanna fu nominata principessa per aver ben meritato nell'opera d’organizzazione e urbanizzazione del novello comune, che in pochi anni si era arricchito di chiese, un’ampia piazza e strade diritte e larghe.
La piazza si estendeva su un pianoro sufficientemente ampio, dai lati e dal centro di essa si dipartivano quattro strade con direzione Est-Ovest che delimitavano gli assi principali dello sviluppo urbanistico. Nella direzione Nord-Sud, invece, si avevano due ampie strade di lunghezza pari ai lati esterni più lunghi della piazza. [10]
La principessa Giovanna abitava a Palermo nel palazzo Bosco di proprietà del marito. Per un lungo periodo soggiornò a Cattolica nella casa baronale (odierna Biblioteca Comunale) e trovò in don Vincenzo Ingraudo, primo parroco, facente funzioni d’arciprete, originario di Montallegro, un validissimo sostegno. Dal 1616 al 1630 furono ultimate o costruite ben cinque chiese: Madonna della Pietà, Madonna delle Grazie, Sant’Antonio Abate, Sant'Isidoro e Maria Santissima della Mercede (dedicata all’Immacolata Concezione Madre di Dio). La costruzione di quest’ultima chiesa, iniziata nel 1614, era stata affidata dal barone di Cattolica a fra’ Miguel delle Piaghe, famoso predicatore del tempo. In seguito alla morte di Blasco, la costruzione della chiesa era stata interrotta da don Vincenzo Del Bosco, il quale non intendeva onorare l’oneroso impegno, preso dal suocero con fra’ Miguel, di versare la somma di 500 ducati annuali.
Con la sua morte cessò tutto, perché la figlia che lo succedette si sposò con don Vincenzo Bosco, duca di Misilmeri, e non solo non stette ai patti descritti nel testamento del padre, ma si oppose, non tenendo conto che suo padre l’aveva preferita come erede. I Giudici accettarono che la figlia fosse dichiarata erede al posto del figlio maschio legittimo.[11] La Signora smise di pagare la rendita per molto tempo e impedì al Duca suo marito di proseguire l’opera che il suocero aveva cominciato.[12]
Negli anni seguenti si arrivò a un compromesso e la principessa Giovanna onorò la promessa fatta dal padre, donando ai frati scalzi quanto promesso. In questo modo negli anni 1630-1636 fu portata a termine la costruzione della chiesa dedicata alla Madonna della Mercede, dove fu tumulata la salma di Francesco.[13] Questo fatto è stato riferito anche da don Giuseppe Castronovo:
Un altro convento con l’annessa chiesa fondò nel 1630 la Principessa Giovanna, il convento cioè di Maria SS. Della Mercede, assegnandogli dei beni: case e giardini dell’Ingastone, terre dell’Alvano, fra le quali quelle della Salina, terre della Mortilla, della Piana e del territorio di Montallegro. Erano nel convento sei padri e due fratelli laici.[14]
Nel 1635 fu fondata la Congregazione di Maria SS.ma del Rosario, che aveva il compito di collaborare col parroco e provvedere alle spese della chiesa.
Nel 1642 s’investi del Principato don Francesco del Bosco, figlio di Giovanna Isfar e Vincenzo del Bosco, e nel 1644, per onorare la madre, fondò il Beneficio semplice laicale dell’Assunzione nella chiesa di Santa Maria del Platani, e della Natività di Maria Vergine nella chiesa di Santa Maria del Ponte.[15]
Dagli Annali dei Frati Scalzi risulta, inoltre, che il nipote del fondatore: principe Francesco Del Bosco nel 1659 donò altre 60 onze annuali per pagare un religioso dell’ordine e un sacerdote. La donazione si rese necessaria per evitare l’eventuale soppressione del convento, poiché il vescovo aveva programmato la chiusura per tutti i conventi che si trovavano in condizioni economiche disagiate e non riuscivano a mantenere i frati necessari al servizio della chiesa. In quell’occasione si abolì il convento degli Agostiniani e si potenziò quello dei Frati Scalzi Mercedari.
Nel secolo XVII gli arcipreti di Cattolica non si occupavano solo della cura delle anime, ma amministravano il paese, ricoprendo la carica di cappellani segreti. Erano dei veri e propri uomini di fiducia e tuttofare del principe, il quale aveva il diritto di proporre la nomina dell’arciprete, indicando il parroco che più riscuoteva la sua simpatia e meglio sapeva curare i suoi interessi (ius presentandi et nominandi). Ecco perché, negli avvenimenti di questo secolo, compariranno sempre le figure di parroci e arcipreti, che si sono mostrati intraprendenti e abili ed hanno retto l'effettivo governo del paese con mano lunga e sicura. Fino al 1629 non era stata creata l’arcipretura e le chiese erano rette dal parroco. Fu concessa il 15 maggio 1930 e fu scelta come Matrice la Chiesa dello Spirito Santo, affidata a don Vincenzo Ingraudo. In seguito, il principe Vincenzo Del Bosco ne richiese la nomina al vescovo, il quale lo nominò con bolla vescovile del 31 marzo 1635.[16]
Riflessioni
La lettura dei testi storici, l'indagine sui documenti e le testimonianze fanno sorgere delle domande spontanee, cui credo sia opportuno cercare di rispondere. Quando cessò, di fatto, di esistere Ingastone? Quando gli abitanti cominciarono a chiamare il novello paese Cattolica? Il fondatore di Cattolica fu Blasco o il figlio Francesco? Perché il paese sorse nel feudo Ingastone? I Tre vulcani (odierno stemma del comune) sono realmente esistiti nel territorio cattolicese? Perché la novella terra fu chiamata Cattolica? Dove abitavano gli Isfar?
Senza voler essere pedante, aiutato da un certo ragionamento, suffragato dai pochi documenti ancora esistenti, posso formulare le seguenti ipotesi:
-Nel secolo XVII un comune non nasceva per caso, ma era programmato dalla corona spagnola e dal feudatario del luogo, al fine di agevolare la coltivazione delle terre e incrementare la produzione agricola. Ogni novella università doveva possedere i seguenti edifici: una roccaforte, il palazzo del fondatore o la sede dell’Amministrazione, almeno una chiesa (Sant’Antonio Abate) e cento abitazioni, locali da adibire a negozi (quartiere Botteghelle) per la vendita dei generi di prima necessità, un fondaco, un mulino, una piazza, strade interne e di collegamento. Ai fondatori era riconosciuto un titolo nobiliare adeguato ed era assicurato un seggio nel Parlamento Siciliano per ogni piccolo villaggio trasformato in Comune con almeno ottanta nuclei familiari. Per costruire gli elementi strutturali indispensabili per un’università solitamente occorrevano dai dieci ai venti anni. Blasco Isfar et Corilles sul finire del secolo XVI, dopo la nascita dei figli Giovanna e Francesco, decise di radunare i coloni sparsi nelle sue terre (Maniscalco, Giudecca, Punta di Disi, Monforte) in un unico villaggio nella zona centrale del feudo Ingastone ai piedi di Monforte. In tal modo si costituì un centro abitativo di notevoli dimensioni, idoneo a trasformarsi in una novella università. Pertanto, decise di sfruttare con successo l'opportunità offerta dalla Curia e assicurare al proprio figlio Francesco titolo e privilegi previsti dalla legge: un seggio in Parlamento e il titolo di barone. Chiese l’autorizzazione e continuò i lavori per trasformare in università il villaggio Ingastone. L’esistenza di questo villaggio è testimoniata da un’antica scritta che si trovava sotto lo stemma del municipio Cattolica iam Ingastone propre dirutam Herac1eam (in tempi recenti è stato scritto Eraclea al posto di iam Ingastone), nonché le dichiarazioni fatte da alcuni capi famiglia nei riveli del 1616, che dichiararono di essere nati in Ingastone-Cattolica. Risulta, dagli scritti di Diego Miceli e Giuseppe Castronovo, che nell'anno 1603 Ingastone aveva già raggiunto la popolazione di circa 500 abitanti, bastevoli a far nascere una nuova università baronale. Pertanto, possiamo ipotizzare che, probabilmente, in quell’anno il barone richiese la licentia populandi e si prodigò per far crescere e strutturare il villaggio di Ingastone, cui cambiò il nome in Cattolica, volendo racchiudere in questo nome tutto un programma, che prevedeva il trionfo della religione cattolica e la scomparsa delle ultime tracce della comunità ebraica, ancora esistente sulla vicina collina della Giudecca. Il 24 maggio del 1610 arrivò l’autorizzazione a chiamare Cattolica la novella università e nel 1612 la definitiva approvazione del Re. A confermare l’esistenza d’Ingastone il Castronovo cita l’atto notarile stipulato il 20 luglio 1610 tra Blasco Isfar e il vescovo di Agrigento mons. Vincenzo Bonincontro, con cui il barone cedeva al capo della chiesa agrigentina l’antico palazzo dei Chiaramonte.
A patto che fossero ammessi in Seminario in perpetuo tre giovani, due di Siculiana e uno della Terra noncupata noviter la Cattolica, per ipsum Baronem constructa.[17]
Dal predetto atto notarile possiamo dedurre che prima del 1610 la Terra la Cattolica, fondata da Blasco, esisteva sotto altro nome (Ingastone) e che solo recentemente (noviter) aveva cambiato nome, probabilmente a testimonianza della devozione alla religione della famiglia Isfar.[18]
La lapide esistente presso la chiesa della Madonna della Mercede:
Don Francisco Isfar et Corilles Catholicae
Primo aedificatori, immatura morte praerepto,
Viro maximae aespectationis prudentissimo
Ex Salerno, ubi obiit, huc traslato
Donna Joanna De Bosco Isfar et Corilles
Sora Amatissima multis cum lacrimis dicavit.
Obiit anno aetatis suae… [19]
mancante della data di morte o dell’età del barone e del titolo di Dux, a mio avviso, ha tratto in inganno gli storici che mi hanno preceduto, i quali basandosi sul termine Primo aedificatori hanno affermato essere Francesco il fondatore di Cattolica.[20] Al riguardo è sufficiente puntualizzare che Blasco con atto notarile donò a Francesco il feudo di Platani seu Monfortis recentemente chiamata la Terra di Cattolica nel 1611 (circa tre anni prima che il figlio morisse o fosse dichiarato disperso, tanto da non essere citato nel testamento di Blasco del 1615). Francesco è morto in età giovanile, non ebbe il tempo di ricevere l’infeudazione ufficiale a Dux della Cattolica, non era sposato e non ha lasciato eredi diretti. Inoltre, secondo la lapide che nel corso dei secoli ha subito restauri e danneggiamenti, il predetto barone è morto a Salerno, dove, apprendiamo da Raimondo Falci, si era recato per affari e si era ammalato. Che cosa sia realmente accaduto a Salerno negli anni 1612-1614 non c’è dato sapere. S’ignora perfino l’esatta data della scomparsa di Francesco. Probabilmente, il figlio di Blasco, novello Signore del solo feudo Monforte o Platani, non si occupò mai fattivamente dei beni di famiglia, tanto da risultare inesistente in un documento ufficiale, relativo alla nomina di Giovanna a principessa:
Blasius Federici filius Isfar et Corilles, fuit Catholicae Dux, Vir bello et pace clarissimus, ex conjuge sua Laura Cajetano Joannam, unicam filiam suscepit Vincentio Bosco Misilmeri Duci nuptui, traditam et Catholicae Principem - Philippi 3° privilegio 1620. 131
L’espressione Primo aedificatori dovrebbe essere interpretata come l’estremo omaggio, fatto da Giovanna allo sfortunato fratello, cui non sarebbe bastata l’intera vita per costruire il paese, ma che, dopo aver ricevuto in dono la baronia di Cattolica, ne affidò al padre la gestione e si trasferì a Salerno. Nella chiesa Maria Santissima della Mercede, parecchi anni dopo la morte, probabilmente nel 1630, fu sepolto dentro ad un sarcofago che è andato distrutto e di cui è rimasta la sola lapide incompleta, mancante, come solitamente si faceva, dell’età del barone al momento del decesso.[21]
Da quanto si è detto, possiamo ipotizzare che Francesco è nato negli anni 1585-1590 ed è scomparso nel 1614, tre anni dopo aver ricevuto dal padre per testamento la baronia della Terra di Cattolica, per consentirgli di acquisire il titolo di barone e un seggio nel Parlamento Siciliano. Del resto è bene rilevare che il valore storico delle lapidi è molto relativo. Pertanto, confortati dai documenti ufficiali, si può affermare che Blasco è stato l’ideatore e il fondatore d’Ingastone-Cattolica.
-La scelta del sito, dove costruire la novella università baronale, è stata influenzata dai seguenti fattori: la poca fertilità del suolo da utilizzare per le costruzioni, l'abbondanza di sorgenti d'acqua per uso civico nelle vicinanze, la salubrità delle terre del feudo Ingastone, sufficientemente lontane dalle terre malariche vicine al fiume Platani, la sua posizione centrale e la preesistenza nello stesso posto di un antico villaggio agricolo-pastorale. Marcello Renda afferma che:
Rispetto agli altri feudi, del resto, Ingastone aveva i requisiti richiesti per essere prescelto all'urbanizzazione. Si stendeva su un pianoro abbastanza ampio ai piedi della Montagna Longa e del Monte Sorcio con tutta la prospettiva aperta ad Occidente, verso la Piana del Platani e il mare Mediterraneo sullo sfondo. Non era terreno franoso, giacché sotto i sottili strati di argilla vi erano grossi strati di pietra gessosa. I materiali di costruzione erano ad immediata portata di mano, potendosi aprire le cave ove meglio si fosse creduto e produrre le pietre e la malta di gesso in quantità praticamente illimitata ed a costi minimi. Infine, non mancava l'acqua. All'interno dell'area da urbanizzare si contavano non meno di cinque sorgenti di acque amare. Altre sorgenti di acque dolci erano situate alla distanza di 2-3 Km., nel feudo Monaca. In ogni caso dal punto di vista del patrimonio idrico, Ingastone era la zona meglio dotata di tutto il territorio.[22]
-L'odierno stemma del comune di Cattolica Eraclea, caratterizzato da tre vulcani sormontati da stella e corona, ha fatto ipotizzare l'esistenza di vulcani nel nostro territorio. Inutilmente si è cercato di individuarli, perché, in verità, nelle vicinanze di Cattolica non sono mai esistiti vulcani e le colline che circondano il paese nulla hanno a che fare col nostro stemma. Esso prende origine da quello della famiglia spagnola dei De Isfar o Isfar (proveniente dalla Catalogna), che contiene tre monti rosseggianti su campo azzurro sormontati da stella e corona (simbolo della monarchia) oppure come arma d’oro a cinque fiamme di rosso uscenti da tre monti al naturale. Questo fu lo stemma di Cattolica e tale restò fino a quando gli Isfar, i Del Bosco e i Bonanno amministrarono il principato. I tre monti rosseggianti furono rappresentati fino al 1928 come tre vulcani e in seguito con decreto reale del 9 aprile 1928, trascritto nei registri della consulta araldica il 1° settembre dello stesso anno, lo stemma fu così descritto:
D'azzurro, e tre vulcani vampanti al naturale, nascenti dalla punta dello scudo, accompagnati in capo da una stella d'oro, lo scudo è forgiato dalla speciale corona di comune.
-Per quanto riguarda le motivazioni della scelta del nome Cattolica, a quanto detto prima, si può aggiungere che in un atto nel notaro Giacomo Marascia del 15 maggio 1630, tra le altre cose, si legge:
Con licenza di Sua Maestà Cattolica, costruito con titolo di ducato la Terra denominata la Cattolica ed in esso per il Culto Divino e devozione del popolo fatta edificare una chiesa tamquam Matrice, sotto il titolo allo Spirito Santo. [23]
Considerato, inoltre, che nelle vicinanze (contrada Giudecca) esisteva una comunità ebraica convertitasi alla religione cattolica per il quieto vivere e che s'intendeva da parte della corona cristianizzare il popolo siculo, si può ragionevolmente ipotizzare che la novella terra fosse chiamata la Cattolica (Terra aperta a tutti i credenti) e arricchita di tante chiese, per fare trionfare la religione cattolica, assecondando, in tal modo, la volontà della monarchia spagnola. [24]
Nel 1612 arrivò la definitiva approvazione del re e fu ufficializzata la nascita della novella Terra chiamata la Cattolica.
La fondazione dell’università fece guadagnare nel 1615 a Blasco Isfar, poiché il figlio Francesco era già morto, il titolo di duca. La trasformazione della Baronia a Ducato era stata chiesta da Francesco, ma fu approvata il 27 marzo 1615 e il titolo fu attribuito a Blasco, in qualità di erede. Poi, fu ereditato da Giovanna, erede di Blasco e moglie di don Vincenzo Del Bosco duca di Misilmeri, la quale l’8 agosto 1620 su nominata Principessa.
Il riconoscimento di ducato prima e principato poi alla novella baronia è stato determinato dal fatto che in poco tempo l’antico villaggio aveva avuto un notevole sviluppo demografico con conseguente miglioramento della produzione agricola. Per il predetto titolo Giovanna pagò al duca di Benevento la somma di 5.000 ducati (parte di 32.000 ducati, dovutigli per il titolo di Principe).[25] Giovanna portò a termine il progetto del padre, sistemò gran parte delle principali strade del paese, si costruì accanto alla rocca (via Roccazzo) una dimora con un grande cortile interno e accanto una cappella (attuale Biblioteca Comunale e chiesa del Collegio di Maria). Il palazzo baronale era così composto:
Da un ampio portone si accedeva a una portineria che, attraverso alcuni corridoi, immetteva in vari vani situati a pianterreno; una scala conduceva al piano soprastante che era costituito da ampi e numerosi vani. L’intero edificio si sviluppava intorno a un vasto baglio di circa 200 mq, acciottolato così come si usava nel seicento, al centro del quale sorgeva una cisterna per la raccolta delle acque piovane, costruita in pietra borancina artisticamente lavorata; questa era sormontata da una intelaiatura in ferro battuto alla quale era attaccato un catino utilizzato per sollevare l’acqua.[26]
Da fervente cattolica si prodigò nella costruzione o completamento delle seguenti chiese: Madonna della Pietà, Madonna delle Grazie, Sant’Isidoro e Maria Santissima della Mercede, dove fece tumulare la salma dell’amato e sfortunato fratello.

[1] Cfr. F. Renda, Soria della Sicilia, vol.2, 661-670.
[2] Blasco Isfar aveva fama di essere un grande giocatore di scacchi, tra gli altri aveva battuto un grande dell’epoca: don Salvatore Albino detto il “Beneventano”.
[3] M. Renda, I nuovi insediamenti nel 600 siciliano – Genesi e sviluppo di un Comune.
[4] R. Falci, Scienziati e Patriotti Siciliani negli albori del Risorgimento, 32.
[5] Licentia Populandi del Comune di Cattolica, Archio di Stato di Palermo. Cfr. M- Renda, I nuovi insediamenti del 600 siciliano – Genesi e sviluppo di un Comune.
[6] Con l’Editto del 13 Settembre 1610, emanato da Filippo III, veniva reso venale il diritto di mero e misto imperio, cioè veniva acquistato da parte dei feudatari del Regno.
[7] Atto del notaio Giovanni Aloisio Gandolfo di Palermo, anno 1611. Cfr. E. Gandolfi, Relazione sul demanio del Comune di Cattolica Eraclea.
[8] Successivamente dai padri Mercedari intitolata a “Maria Santissima della Mercede”.
[9] Le notizie sulla lapide ci sono state gentilmente fornitr dall’Ufficio Stampa dell’Associazione Chiese Storiche di Palermo.
[10] M. Renda, I nuovi insediamenti nel 600 siciliano - Genesi e sviluppo di un Comune, 86-87
[11] Probabilmente Francesco era stato dato per disperso o non si aveva notizia certa della sua morte, tanto che alla morte di Blasco spettò ai giudici riconoscere Giovanna come erede.
[12] Annali dei Frati Scalzi, 913.
[13] Cfr. Annali dei frati scalzi, anno 1614.
[14] G. Castronovo, Notizie storiche su Cattolica, 32.
[15] Probabilmente si tratta della stessa chiesa conosciuta con entrambi i nomi.
[16] Cfr. G. Castronovo, Notizie storiche su Cattolica, 46.
[17] G. Castronovo, Notizie storiche, 9.
[18] Per analogi motivi religiosi, dopo il concilio di Rimini del 359 dopo Cristo, è stato dato il nome “Cattolica” ad un altro comune del Nord Italia.
[19] Lapide della tomba di don Francesco Isfar et Corilles, chiesa Maria Santissima della Mercede.
[21] Il sarcofago fu aperto nel 1924 e all’interno furono rinvenuti: un teschio scheggiato all’altezza della fronte e il residuo di un osso lungo. Cfr. Maria Grazia Spoto, Frammenti di memoria, 15.
[22] M. Renda, 82-83.
[23] G. Castronovo, Notizie storiche su Cattolica,14.
142 Anche il nome dell’altra Cattolica e legato alla religione e in particolare al Concilio di Trento.