CATTOLICA ERACLEA - DALLA ROCCA DI MONFORTE AD INGASTONE

CATTOLICA ERACLEA - DALLA ROCCA DI MONFORTE AD INGASTONE.
Il tenimento o feudo di Monfortis seu Platani prendeva il nome dalla collina che dominava tutto il territorio e dal fiume che ne segnava il confine. Per lungo tempo la località Monforte è rimasta misteriosa, né si è data tanta importanza all’affermazione di Raimondo Falci che Cattolica era stata costruita “appiè di Monforte”. La collina ai cui piedi si estende Cattolica, altro non è che la località Principotto, oggi così chiamata perché, tra il XVIII e XIX secolo, sul pianoro soprastante c’era la dimora estiva del Principe.
Gilberto Isfar et Corilles, infeudatosi della baronia di Siculiana, pensò d’estendere i propri domini nei territori confinanti, che nel XV secolo erano spopolati e insicuri. Con il beneplacito del re Alfonso il Magnanimo ottenne in enfiteusi dall’arcivescovo di Palermo il feudo o tenimento di Monforte de Platina:
In nomen domini nostri Jesu Christi Amen, Dominice Incarnationis anno millesimo quatragentesimo tertio, mense dicembre decimo eiusdem mensis duodecim Indictionis. Regnante Serenissimo Domino nostro rego Alfonso dei gratia illustrissimo Rege Aragonum Sicilia etc. Nos Fredericus de Vaccatellis … felicis urbis Panormi etc…, Urbanus de Sinibaldis de eadem urbe sacris Apostolica et imperiali auctoritatibus… testamur quam magnificus Dominus Gispertus De Isfar miles regius uxerius et civis civitatis Agrigenti habens tenens et possident quoddam eius castrum vocatum Siculiana cum eius territorio situm et positum in Valle Mazarie predicte regni Siciliae prope feudum seu territorium vocatum de Monforte de Platina et prope marina litura meridionalis plage in medio dicte civitatis Agrigentis et terra Sacce habens aspectum seu existens in oppon… parcium barbarie. Quodquidem territorium Montis Fortis sive Platani fuit et est ab antiquo de mensa reverendissimi domini Archiepiscopi panhormitani et per eidem Reverendissimo Domino Archiepiscopo subiectum ipse magnificus D. Gispertus sp. Dei motus et magno zelo et fervore caritatis accensus ut…… invasionem depredazioni christianorum fidelium que continue fieri solebant et ad huc……per infideles barbaros seu agarenos in marini latoribus dicti territori Montis Fortis sive Platani propre eius de populacionem et incustodiam pluries ac multociens eundem Reverendissimum dominum Archiepiscopum panhorminatum pro se et alios nomine rogaverit… emphiteusim et annum censum alicuius competentis pecunie perpetuo concedere digneretur; et vellet ac sibi placeret offerendo se ipse magnificus in dicto territorio turrim edificari bona et fortem ipsamque bene et sufficiens ac continue facere custodiri a Deo et taliter que christianis et… in litoribus marini dicti territorii praticantibus cunctibus et reddentibus in dictis infidelibus barbaris esset securus a dictus et in ipsius turris hedificantem amplam pecunia summa expendere… etc.[1]
Nel 1433 le roccaforti di Platano e Capitis Disii erano in stato d’abbandono e non erano più nelle condizioni di difendere i coloni dalle incursioni barbaresche. Probabilmente erano stati distrutti in occasione della riconquista di Federico, dopo il breve periodo della ribellione araba. Contadini e pastori del feudo o tenimento Monforte de Platina vivevano nell’isolamento, soggetti alle incursioni dei pirati barbareschi. La chiesa di Palermo, nell’affidare il feudo ai De Isfar, baroni di Siculiana, oltre all’annuale censo, richiese ai feudatari la promessa di difendere i contadini e i pastori cristiani, mediante la costruzione di una roccaforte nel feudo Monforte de Platina e di una torre nella zona marina di Capo Bianco, vicino alla foce del Platani.
Erano allora trepidanti gli abitatori delle coste marittime pel terrore sparso dalla pirateria. Avea già essa, per sì lungo tempo, formato l’incubo e lo spavento delle nazioni cristiane; ma sospinta, allora appunto, e ingagliardita dalla ferocia dei fratelli Barbarossa, terribili ed indomiti, aventi il covo in Algeri e in Tripoli, avea raggiunto l’apice dell’audacia e dell’attività.”[2]
Le costruzioni della fortezza sulla collina Monforte (oggi Principotto) e della torre di Capo Bianco furono iniziate nel 1440 da Gilberto e definite nel 1496 dal nipote Francesco De Isfar. I due presidi erano in contatto visivo. Inoltre, per proteggere tutto il territorio della baronia di Siculiana, furono costruite lungo il litorale marino anche le torri d’avvistamento di Marinata, Felice e Monterosso. La torre di Capo Bianco era custodita da tre uomini e rimase in piedi fino al momento in cui fu saccheggiata e distrutta dai turchi nel secolo XVIII. Dopo la distruzione di Platano, il casale di Monforte restò l’unico rifugio sicuro a difesa dei coloni sparsi nel territorio della baronia, che nei secoli XV e XVI era tormentata dalle scorribande dei pirati turchi. Gli abitanti della Giudecca, di Capodisi, di Maniscalco e Platanelli nei momenti di pericolo si rifugiavano sul Monforte, sotto la protezione del feudatario. S’ipotizza che Monforte sia stato anche il centro abitato che ha preceduto Ingastone-Cattolica.
Rocco Pirri nel suo libro Sicilia Sacra ha affermato che una parte dei territori di Platano e Platanelli si chiamava Monforte ed è stata concessa in enfiteusi agli Isfar, baroni di Siculiana.[3]
Il Monforte era la collina, da cui si dominava l’intero feudo, che era composto dai seguenti suffeudi: Vizzini, Piana dello Bammuso, Piana del ponte, Gurgo di Marzo, Ardicola, Mortilla, Monaca, Salina, Alvano (Capodisi sul confine col Borangio), Judica (Giudecca), Ingastone, Maniscalco (Collerotondo e Platanella).
La rocca di Monforte continuò a essere un rifugio sicuro per i coloni del feudo e gli abitanti di Cattolica fino a quando i principi Bonanno non la scelsero come loro dimora estiva.
MONFORTE OGGI
Il nome Monforte è poco conosciuto ed è stato attribuito al feudo e accomunato con Platani (feudum Platani seu Monfortis o Monforte de Platina). Il Castronovo accenna a un ponte di Monforte o Bonforte nel quartiere Sant’Antonino. Ancor oggi è possibile notare, all’uscita del paese verso Raffadali dopo il quartiere Sant’Antonino, quel che resta di un’antica strada che conduceva a Monforte. Ai bordi del viottolo, nella parete rocciosa, si trova incavata una cappelletta. Una volta, partendo dalla chiesa Sant’Antonino, risalendo per uno stretto sentiero collinare, si arrivava alla porta dell’Alvano, da dove mediante un viottolo si giungeva sulla cima della predetta collina del Principotto.
Mosso dal desiderio di appurare che cosa fosse rimasto dell’antica fortezza di Monforte, accompagnato dall’amico Bartolo Rondelli, mi sono recato a visitare la predetta località. Ho costatato che sopra la collina si trovano i ruderi di un caseggiato, circondato da un muro di fortificazione, probabilmente risalente al XV secolo. Una parte della roccaforte, in tempi più recenti, è stata oggetto di restauri e adibita a casa rurale. Nelle vicinanze si trovano i ruderi dei “casalini”, (così sono ancora chiamati) che erano le abitazioni dei coloni e che in parte hanno continuato a esserlo fino ai nostri giorni.
Monforte si eleva a 529 metri sul livello del mare e domina tutta la vallata del Platani fino al mare e le colline che gli sono vicine: Punta di Disi, Giudecca, Collerotondo. Il paese si estende ai suoi piedi; il paesaggio è incantevole.
Dalla ricognizione effettuata si è costatato che sulla collina del Principotto o Monforte si trova un vasto pianoro, oggi poco coltivato. Sulla cima i ruderi di una roccaforte, affiancata da alcuni casalini. Nel pianoro si trovano modeste abitazioni diroccate e cocci di ceramica post-medievale.
Occorrerebbero ricerche sistematiche, da fare dirigere a esperti archeologi, per appurare l’esistenza sulla collina di un centro abitativo e di una fortezza coevi o precedenti a Platano, cui il sito di Monforte somiglia per molti aspetti. Appare del tutto inutile azzardare altre ipotesi, prive dei necessari riscontri scientifici.



[1] Atto del notaio F. Vaccatellis, in P. Fiorentino, 128 – 129.
[2] F. Campo, in P. Fiorentino, 130.
[3]  Cfr. R. Pirri, Sicilia Sacra, 137.

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