IL VENERDI SANTO E LA NOSTRA TRADIZIONE RELIGIOSA
(TRATTO DAL LIBRO "Da Eraclea Minoa a Cattolica"
Nel periodo
che tra il 1650 al 1653, venne per la prima volta a Cattolica padre Luigi La
Nuza, accompagnato da un altro gesuita, per predicare durante la Settimana
Santa. Negli anni seguenti i due religiosi furono i promotori del trasferimento
del Calvario dalla contrada Signore Dimenticato (monte Sorcio) al sito attuale
(collina San Calogero) e della tradizionale processione del Venerdì Santo con
la partecipazione delle confraternite. Per consentire il trasporto del corpo
del Cristo dal Calvario alla chiesa del Santissimo Rosario (in quel tempo dello
Spirito Santo), fu fatta costruire la vara in legno massiccio di Benedetto e
Lorenzo Mirabitti. In memoria di padre La Nuza fu eretta accanto al Calvario
una cappella, finanziata dalla signora Benedetta Tortorici.[1]
In quegli
anni il fervore religioso caratterizzava la popolazione di Cattolica, ne è
esempio un avvenimento narrato negli Annali dei frati del convento. Nell’anno
1659 alla fine di febbraio nel convento della chiesa intitolata alla Madonna
della Mercede, accadde che:
Fra Giuseppe di San
Paolo, religioso di grande esempio, conosciuto e venerato in quella Terra, si
alzò una notte all’ora dell’alba, per suonare la campana del Padre Nostro, come
lì si usava fare, come in Spagna all’ora del tramonto si suona l’Avemaria.
Essendo salito sul campanario per fare ciò, scivolò e cadde dall’alto in basso
su un legno che serviva da passamano per la scala. Con la botta che diede, il
legno si spezzò a metà e, essendoci per terra un altro legno dritto, di quelli
che servono per le croci durante le processioni, gli s’introdusse
dall’intestino e attraversò tutto il corpo da sotto a sopra fino a uscire da un
lato della gola, come quello che usavano fare i Mori in Berberia.[2]
Il frate, pur soffrendo atroci tormenti, accettò
serenamente la morte e incoraggiava gli altri frati a non affliggersi per
quanto gli era accaduto. Morì in odore
di santità e il Vicario Foraneo lo fece seppellire nel Convento. Fra Giuseppe,
mentre era in vita, aveva fatto costruire un pozzo all’interno del convento.
Gli abitanti andavano ad attingere l’acqua di questo pozzo che ritenevano
miracolosa, idonea a disinfettare e guarire le piaghe e le ferite degli
animali. Una delle guarigioni miracolose raccontate è quella riguardante una
mucca morsa a un piede da un lupinos (ragno velenoso). La zampa dell’animale, gonfia e infetta, fu
lavata con l’acqua attinta dal pozzo e, dopo un po’, ritornò sana come prima. [3]