LA VARA DEL VENERDI' SANTO
LA VARA DEL SANTISSIMO CROCIFISSO
La
principessa Giovanna Isfar et Corilles, sposata a don Vincenzo Del Bosco, ebbe
due figli: Laura e Francesco. Governò direttamente il principato per circa un
decennio, poi, per stare vicino al marito, sempre impegnato in affari di Stato
a Palermo, lo affidò alle cure dei suoi uomini di fiducia: il cappellano
segreto don Vincenzo Ingraudo e il notaio Raffaele Pontorno.
Durante il
primo secolo di vita Cattolica continuò ad accogliere contadini, pastori e artigiani,
provenienti dai paesi vicini. Perché la gente trasferiva la propria residenza
nel comune di Cattolica? Per trovare una risposta, quanto più possibile vicina
alla verità, bisogna fare una considerazione. Nei secoli XVI e XVII, per
popolare un feudo, era necessario che il signore del luogo donasse alla
collettività delle terre comuni, da
dove il popolo avrebbe potuto attingere liberamente acqua, procurarsi legna,
verdure, erba, gesso e pietre, necessari per costruirsi una casa. Inoltre, il
barone assegnava a censo a ogni abitatore
della novella Terra un certo numero di salme di terreno e una casa, in
proporzione al numero dei membri del nucleo familiare. Quindi, gli elementi che
caratterizzavano l’incremento della popolazione erano tre: la magnanimità e la
correttezza del barone nel fissare il censo, la disponibilità di terre comuni
ricche di acque e cave di pietra e la possibilità per i coloni di migliorare le
proprie condizioni economiche e sociali. Le opportunità offerte dagli Isfar ai
contadini furono migliori, rispetto a quelle esistenti nelle vicine università
in cui erano confluiti i coloni del feudo Platani o Monforte. Ancor di più lo
furono con il principe Francesco del Bosco Isfar, investitosi del titolo di 2°
principe di Cattolica l’8 luglio del 1642, in seguito alla morte della madre,[1]
la cui salma fu tumulata nei sotterranei della chiesa madre di Misilmeri,
consacrata a San Giovanni Battista. Egli affidò l’amministrazione del
principato di Cattolica ai giurati, al cappellano segreto e a un suo
amministratore di fiducia: Gaspare La Scalia. Il principe Francesco del Bosco,
attratto dalla vita di corte e dagli incarichi di governo, dedicò poco tempo al
nostro paese. A onor del vero, bisogna anche ricordare che i Del Bosco, poiché
erano titolari del ducato di Misilmeri da più generazioni, si sentivano più
vicini a quel paese[2] che a
Cattolica e, alla morte del padre, Francesco dovette occuparsi a tempo pieno
dei possedimenti di Palermo e Misilmeri. Tuttavia, i giurati, il cappellano
segreto e i suoi uomini di fiducia si sono distinti sia nell’amministrare il
principato, sia nel fargli pervenire il censo dovuto. Uno degli amministratori
di Francesco Del Bosco fu Gaspare La Scalia, il quale ebbe il merito di
assicurare la realizzazione delle opere volute dal principe. Per esempio il suo
nome s’incontra in un atto notarile del 1663, in cui si stipula un contratto
per una vara per l’immagine del Santissimo Crocefisso con Benedetto e
Lorenzo Mirabitti di Chiusa, famosi e apprezzati artisti del Seicento.
Archivio di Stato di Girgenti – Die Vigesimo quinto
Augusti Prime Indictionis Millesimo Seicentesimo Terbio apud Terram Cluse
Magister Benedittus et Laurentius Mirabitti pater et filius… promiserunt et se
obligant Magistro Gaspari La Scalia Terre Catholice… di fari una vara per la
sudetta Immagini del Santissimo Crocifisso… di legnami staxuinata netta di
gruppa… et lo sgabello e baiardo e
corniciuni di legnami di chiuppu… farci un monti dove entra la Croce, quali
deve essere con due facci di Seraphine intagliati e detta vara di altizza di
palmi cinque, scorniciato sotto e sopra,e che li colonni sijano tutti un pezzo.[3]
[1] La
principessa Giovanna, prima di morire, con testamento del 23 Luglio 1640 donò
la casa baronale e l’annessa cappella alle suore Collegine, custodi
dell’orfanatrofio, alle quali assegnò la rendita annuale di 200 onze per il
mantenimento di 10 ragazze che intendevano farsi suore e 119 onze e 24 tarì per
il mantenimento di 30 orfanelle e la maestra.
[2] Nella
chiesa madre di Misilmeri furono tumulate le salme del principe Vincenzo Del
Bosco e della moglie Giovanna Isfar et Corilles.
[3]
Probabilmente si tratta dell’attuale urna, adoperata per il Venerdì Santo,
ristrutturata all’inizio del XX secolo. Particolare degno di nota l’uso del
latino volgare, che pian piano si trasforma in dialetto negli atti pubblici.