CATTOLICA ERACLEA VISTA DAL PROF. FRANCESCO RENDA

ESTRATTO DI UN'INTERVISTA REALIZZATA AL PROF. FRANCESCO RENDA 



Nato a Cattolica Erac1ea il 18 febbraio 1922, ordinario di storia moderna presso la facoltà di scienze politiche dell'università di Palermo, consigliere comunale di Cattolica Eraclea dal 1949 al 1968, deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana dal 1951 al 1967, senatore della Repubblica dal 1968 al 1972.
Palermo, lì 22 ottobre 1992.
Domanda: - È importante conoscere le "nostre radici"? le vicende umane dei nostri progenitori?
Risposta: - L'uomo crea la storia. L'uomo è creatore e consumatore di storia. Cioè noi, operando, anche inconsapevolmente, produciamo storia. La rifles­sione sulle cose fatte, la memoria delle cose fatte, è una caratteristica del genere umano. L'uomo ha la memoria, quindi l'uomo ricorda il suo passato e respira questo passato come respira l'ossigeno dell’aria. Senza la respirazione, senza l'ossigeno, l'uomo non potrebbe vivere, ma l'uomo non vive neppure senza la riflessione storica. Qualunque cosa noi facciamo evidentemente si nutre di una riflessione storica. La conoscenza storica non è un fattore letterario. Il fatto letterario è una conoscenza storica evoluta, una conoscenza storica sofisticata, diciamo specialistica, di cultura raffinata, ma anche il più ignorante degli uomini, anche il più miserevole degli esseri umani ha un suo patrimonio di memoria storica. Ognuno di noi è un bacino di conoscenza. Questo bacino di conoscenza può essere più o meno profondo e certamente nella persona che non coltiva quella conoscenza il bacino è necessariamente limitato. Nell'anal­fabeta, nell’incolto il bacino di conoscenza storica è limitato alla sua esperienza personale, all’esperienza di famiglia e si potrebbe allargare a quella del quartiere in cui vive. Il bacino di conoscenza della persona colta si allarga, comprende non solo la propria esperienza personale, non solo l'esperienza della propria famiglia e non solo l'esperienza del paese, ma anche della nazione e del mondo. Quindi tanto più ampia è la conoscenza storica e tanto più larga e più espansiva diventa la capacità d'intervento. Conoscere le proprie radici che significa? Noi le radici le abbiamo in noi stessi, conoscerle, quindi, significa conoscere se stessi. Il passato non è tramontato per sempre, per cui tu puoi anche non tenerne conto, il passato è vivo nel presente, è la struttura costituiva del presente. Il più grande documento storico di tutto il passato è il mondo nel quale viviamo. Il documento della storia di Cattolica è la situazione di Cattolica così come lei la vive, poi ci vuole naturalmente una capacità di riflessione e di esperienza anche teorica, per recepire questi dati della testimonianza. La conoscenza delle proprie radici, quindi, è una conoscenza di se stessi. La storia non è maestra di vita, perché la storia non insegna nulla. La storia è la conoscenza del mondo in cui ognuno di noi agisce, è la conoscenza dei limiti che questo mondo pone, la conoscenza delle possibilità, ma poi ogni scelta che ognuno di noi compie è una scelta libera e quindi c'è una responsabilità. E allora la conoscenza storica delle radici, la conoscenza storica del passato è una conoscenza che aiuta ad operare e a vivere in maniera più ampia, più consapevole. Le radici, quali radici? Ecco il punto. Le radici non sono univoche. Le radici dell'uomo primitivo sono radici della famiglia, del clan. Quelle dell'uomo civile sono le radici della famiglia, del clan, del paese, ma anche le radici della nazione e del mondo. E allora le proprie radici non sono soltanto le origini di Cattolica, le proprie radici sono anche la cultura, la religione, l'ideale di vita cui ci si richiama. Quindi questo concetto delle radici è un concetto, che tanto più si approfondisce quello che io chiamo il bacino delle conoscenze, tanto più diventano profonde, radicate e difficili da conoscere.
Domanda: - Quali sono i ricordi più belli e i meno piacevoli legati a Cattolica?
Risposta: - Ognuno si forma nei primi dieci quindici anni, ora io in questo periodo son vissuto a Cattolica, quindi la mia formazione di fondo si è realizzata in questo paese, con tutte le problematiche che questa cosa compor­ta. Per me questi primi quindici anni non sono stati un periodo, diciamo così, facile, perché ero di famiglia contadina e quindi avevo davanti la prospettiva di diventare o un contadino o un artigiano. In effetti, in quella direzione ero stato orientato, ma in me c'è stata una prepotente esigenza di studio. Ricordo che prima di mettermi a studiare in senso professionale, avevo letto tutti i libri della biblioteca del circolo dell'azione cattolica, tutto quello che era possibile leggere in quel periodo. Per me la lettura era una ragione di vita ed era l'unica forma di realizzazione di me stesso. Debbo confermare che la sola cosa che so fare è quella di dedicarmi allo studio, anche adesso il mio modo di vivere si realizza nello studio. La politica per me è stata un'avventura che è durata venti anni e più, ma la mia vera vocazione era e rimane quella dello studio. In politica ho fatto il mio dovere, non mi sono sottratto, ma era un dovere che io sentivo di dover fare come tributo alla società, non come luogo dove realizzare la mia identità. A un certo punto me ne sono allontanato, perché mi son detto se deve diventare un mestiere, mestiere per mestiere, scelgo di fare il profes­sore universitario e non il politico di professione. Quindi, per me, ecco Cattolica è la mia esistenza. Purtroppo con Cattolica non ho un rapporto di dimestichezza, perché manco ormai da cinquant'anni, poi nel periodo in cui io venivo spesso, venivo più come dirigente, che portava una direttiva, che non come uno che venisse a vivere in paese. Io non ho trascorso mai un periodo di ferie a Cattolica, conosco centinaia di persone e sono conosciuto da altret­tante centinaia di persone, ma non ho con nessuno rapporti di tipo personale, anche se ottimi e a volta amichevoli; i miei rapporti sono stati sempre rapporti di carattere politico. Finita la motivazione politica non c'è stata più occasione di continuarli e coltivarli. Però il mio essere è Cattolica e in questo mio essere c'è il ricordo bello e brutto. Insomma, io non ho episodi particolari da indicare come belli o brutti. La vita di ognuno di noi è fatta di soddisfazioni, di dispiaceri, ma comunque tutto nell’ordine della normalità.
Domanda: - Quali sono i luoghi del paese natio, conosciuti in gioventù e rimasti impressi?
Risposta: - Come luoghi, già a dieci anni, io conoscevo tutto il territorio di Cattolica nello spazio di cinque sei chilometri, perché la mia educazione si è realizzata nella strada. Conoscevo contrade come l'Aquileia, Monte Sorcio, Monte di Sara, Collerotondo. Questi luoghi li ho rivisitati durante i periodi di studio, perché spesso andavo a studiare in campagna. Ciò che non ricordo con piacere è l'esperienza del lavoro contadino, che sono stato costretto a fare per necessità di famiglia, non per altro. Ma non lo sapevo fare e sarei stato un infelice, se non avessi studiato. Quindi in questo senso posso considerarmi un fortunato, perché ho potuto realizzare questa mia condizione d’intellettuale, che ha avuto un certo successo. Sono quello che sono, però nella mia esperien­za di uomo, di cittadino e di studioso Cattolica ha un valore fondamentale. Per esempio, sono una persona che non pecca mai di estremismi, di fanatismi o di altro, perché sono di formazione cattolica, di formazione liberal-sociale e di formazione marxista. In me c'è una specie di sincretismo che mi consente di guardare a tutte le varie tendenze con una certa serenità. Ognuna di queste culture costituisce parte di me stesso. La mia stessa esperienza politica, in parte legata a Cattolica, è stata un’esperienza importante, anche se è stata un’avven­tura (nel senso che io non avevo scelto di fare politica, poiché la mia aspirazio­ne era quella di fare il professore universitario senza pensare ad altro). La circostanza, che mi allontanò dall'università, fu la tensione sociale che si determinò alla fine del 1947. In quell'anno si ebbe la rottura dell'unità nazionale e allora la Sinistra fu sottoposta ad una reazione violenta, compresa la repressione mafiosa, che si concretizzò con l'uccisione di numerosi rappre­sentanti sindacali. La cosa che poi m’indusse ad abbandonare l'università fu l'assassinio di Accursio Miraglia. Mi convinsi che si era alla vigilia di una guerra civile, quindi lasciai tutto e mi dedicai alla politica. Temporaneamente mi dissi, fino alle elezioni di aprile, poi invece mi trovai come oratore ufficiale della festa del 10 maggio a Portella della Ginestra. (Doveva essere l'ultimo comizio della mia presenza in politica), dopodiché, decisi di rinviare fino alle prossime elezioni del 1948. Nel quarantotto ci fu la sconfitta e allora la mia scelta fu fatta. La questione che si pose fu questa: i dirigenti del partito mi fecero chiamare e mi chiesero di diventare funzionario, cioè uno che a tempo pieno fa il mestiere del politico. Io credetti di non potermi sottrarre e debbo dire che il mio professore Vito Fazio Almayer, col quale mi ero laureato divenendone poi assistente, mi disse che commettevo un errore, perché potevo benissimo fare politica e restare all'università. Ma io ritenni che sarebbe stata una vigliaccheria non accettare l'incarico del partito. Ritirarsi dopo il18 aprile 1948 sarebbe stato un atto di viltà ed io non ho voluto essere un vile. Né sono pentito. Ho avuto la fortuna di non pagare alti prezzi, perché tanti, decine di migliaia di persone, pagarono prezzi e prezzi altissimi. Per fortuna mia invece questi prezzi li ho pagati solo in parte, ma, voglio dirlo, senza nessun rimpianto. Orbene Cattolica Eraclea, da questo punto di vista, ha consentito di dare alla mia vita politica quel carattere di confidenza, che più mi gratificava. Quando ero in politica conoscevo migliaia di persone, avevo numerosissimi rapporti di amicizia, ma sempre di carattere non familiaristico­clientelare. Però a Cattolica si realizzava il fatto esemplare che il figlio del contadino era vissuto da una generale estimazione ed io vivevo gli odori e i sapori di quella generale estimazione. Questo è il punto fondamentale: io non ho avuto in politica mai interessi personali da difendere o ambizioni personali da soddisfare, tutto quello che ho fatto, l'ho fatto nel senso che lo ritenevo un dovere, come pure nel senso che compivo un utile pubblico esercizio.

Quando mi è parso, alla fine, che avrei dovuto fare il mestiere del politico o del politicante, ho ritenuto di avere esaurito la mia parte ed era meglio che mi costruissi un’altra carriera. Quello che c'è di singolare è che ciò che ho creduto di dover fare mi è stato consentito. Di solito è il professore universitario che passa alla politica, e non viceversa. Non è comune d'altra parte che per venti e più anni si rimanga in politica e poi si trovi la strada aperta per entrare a pieno titolo nella vita universitaria. Credo che in Italia nella mia condizione ci siano state non più di una decina di persone. In questo Cattolica è la mia vita.

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