LA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
(TRATTO DAL LIBRO "DALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE AI NOSTRI GIORNI)
La fine della seconda guerra mondiale
Era
stato nominato da poco tempo commissario prefettizio il cav.
Bartolomeo Vaccarino, quando, il 18 luglio 1943, giunse la notizia
che gli americani, provenienti da Raffadali, si apprestavano a
entrare in paese. La popolazione, incerta e confusa, attese con ansia
la cessazione delle ostilità. Com’era successo per altri comuni
della provincia, l'arciprete Giuseppe Dangelo e il commissario,
facente funzioni di podestà, guidarono una delegazione, che andò
incontro ai liberatori,
consegnò
loro simbolicamente le chiavi del paese e rassicurò il comando
alleato sulle intenzioni pacifiche della popolazione, composta
prevalentemente di anziani, donne e bambini.
Da Cattolica non
era passato il tifone della guerra. Non c’erano stati bombardamenti
e nemmeno scontri armati fra militari alleati e militari italiani e
tedeschi.1
I
pochi soldati italiani, di postazione sulla collina San Calogero,
abbandonarono le armi e fuggirono, cercando di far ritorno alle loro
case. Uno dei soldati, facente parte della locale squadra di calcio e
stimato per la sua bravura: Il
caporale maggiore Mario Pipan, essendo di Trieste sua lontana città,
occupata dai tedeschi, si trovò in una situazione molto critica,
credendosi solo, abbandonato da tutti e lontano dalla sua casa. In
questa circostanza, come in altre nobili emergenze, si distinse
l’animo buono del cittadino cattolicese. Pipan venne consolato,
rasserenato e aiutato da tutti e in particolare da coloro che gli
erano stati molto vicini.2
Gli americani
entrarono in paese senza trovare resistenza e non fu sprecato nemmeno
un colpo di arma da fuoco. I soldati sopra i carri armati sfilarono
per le vie del paese e, dopo una breve sosta in piazza Umberto, di
fronte al municipio, andarono ad accamparsi presso la G.I.L. .
Distribuirono alla popolazione pochi viveri e, dopo qualche giorno,
proseguirono verso l'interno, lasciando in paese una ventina di
militari. A capo dell’Amministrazione comunale (11 settembre 1943)
fu riconfermato con l’incarico di Sindaco il cav. Bartolomeo
Vaccarino, l’ultimo commissario prefettizio, ben visto dalla
popolazione e dal clero locale. Con delibera n.152 del 20.11.1943 fu
costituita la Giunta Comunale, formata dai signori: cav. Antonino
Tutino, cav. Baldassare Giubilaro, Maiorino Biagio e Borsellino
Fregapane Antonio. Il comando alleato, vista la situazione economica
precaria del nostro Comune, diede un contributo di £.150.000 per
migliorare i servizi pubblici. Con delibera n.177 del gennaio 1944 fu
nominato regolatore dell'orologio pubblico il signor Renda Santo di
Giovanni con un compenso annuo di £1353,54.
Il
22 aprile del 1944 fu istituito l'ufficio comunale per aiutare i
disoccupati a trovare lavoro e venne, per prima cosa, dato incarico
allo studente universitario Francesco Renda di effettuare un
censimento di tutti i lavoratori disoccupati. Egli, rinunciando al
compenso, per il bene dei concittadini disoccupati si mise all'opera
e in pochi mesi riuscì a portare a termine il lavoro. Per assistere
i più bisognosi fu nominato il comitato per l'amministrazione
dell'E.C.A.(circolare prefettizia del 5 ottobre 1944) nelle persone
dei signori: Dangelo Vincenzo, Spoto Agostino, Spoto Giovanni,
Borsellino Antonino, Marsala Paolo, Renda Francesco, Bentivegna
Aurelio e il sacerdote Gambacorta Amodeo. Il paese contava 10918
abitanti, di cui buona parte in stato di povertà.
Nel novembre del
1944 fu nominato commissario prefettizio al posto di Bartolomeo
Vaccarino il Dott. Antonino Marsala, facente funzioni di Sindaco, il
quale, come primo atto, nominò il comitato per la raccolta di fondi
per far fronte allo stato di disoccupazione e istituì, inoltre, la
cucina economica per assicurare ai più poveri un pasto al giorno.
Furono nominati assessori: De Michele Giuseppe, Arcuri Felice Paolo,
Leo Giovanni, Renda Rosario, segretario comunale Cesare Castelli. Il
22.12.1944 fu nominato commissario prefettizio il cav. Guglielmo De
Luca.
Il 27 gennaio del
1945 il prefetto nominò Sindaco il Prof. Gaspare Amico, il quale
rinnovò e ampliò il comitato cittadino per la raccolta dei fondi,
per renderlo più democratico e vicino al popolo. Con delibera
n.61/1945 fu deliberata la sistemazione straordinaria delle vie Oreto
e Pozzillo.
Per sottolineare la
fine del fascismo e l'avvento della democrazia il prefetto emanò
un'ordinanza per far rimuovere dai paesi le insegne del Partito
Fascista. Il Sindaco con sollecitudine recepì l'ordinanza e fece
rimuovere due insegne: una ricordante l'assedio economico e l'altra
la fondazione dell'Impero. L'incarico di eseguire i lavori fu dato al
signor Miliziano Salvatore, sotto sorveglianza del Capo Guardia
Sajeva Salvatore.
Dopo
l'occupazione alleata, i gerarchi fascisti più compromessi
strapparono e bruciarono tessere e divise, fuggirono per le campagne
e si nascosero in rifugi di fortuna. Alcuni trovarono ospitalità
nelle case dei contadini. Dopo qualche giorno di latitanza furono
convinti dall'arciprete e dal sindaco a presentarsi al comandante
delle forze militari. Al fine di essere reintegrati nei loro posti di
lavoro, giurarono solennemente di non
essere fascisti. Affermarono
di essersi iscritti al partito fascista solo per necessità: per non
perdere l'impiego statale o comunale. Fecero presente che la loro
coscienza li aveva fatto agire sempre da uomini democratici, ligi
alle leggi dello Stato e chiamarono a testimoniare sul loro
comportamento il clero e alcuni contadini, da loro beneficiati. Il
sindaco e l’arciprete si prodigarono per determinare in paese un
clima di pacificazione sociale. Gli alleati non perseguitarono i
gerarchi fascisti, anzi i meno compromessi furono reinseriti ai loro
posti di lavoro, i più compromessi, spontaneamente, per un certo
periodo non si fecero vedere per le strade, per evitare le reazioni
popolari. In seguito, anche questi ultimi, tra cui alcuni degli ex
Podestà (Antonino Tutino, Baldassare Giubilaro, Giovanni Borsellino,
Modesto Guarraggi, Francesco Borsellino) e degli ex segretari del
Partito Nazional Fascista (Liborio Vitellaro, Agostino Spoto,
Domenico Lo Bianco, Giuseppe Spoto e Domenico Capriata)
riacquistarono tranquillità e sicurezza, si mostrarono alla gente e
parteciparono alla gestione della vita pubblica. Ovviamente per far
ciò, qualcuno cambiò colore alla sua coscienza e alla camicia e
parlarono ai contadini e ai braccianti con il sorriso dipinto sulle
labbra, senza più pretendere i caratteristici saluti: Voscenza
binidica e vasamu li mani.
Altri, alcuni anni dopo, tra cui Rosario Miceli e Giuseppe Ferrara,
fondarono e diressero la sezione del M. S. I., mostrando maggiore
coerenza. La fine del regime fascista fu determinata dalla sconfitta
militare. Molti giovani cattolicesi (i cui nomi sono incisi nella
lapide posta in Piazza Umberto) versarono il loro sangue in Africa,
in Grecia, in Russia e sul nostro stesso suolo. Il sottotenente Ezio
Contino è stato considerato dal Prof. Antonio Vento una figura
rappresentativa di questo grande sacrificio dei giovani cattolicesi:
Nato nel 1917
dal dottor Biagio Contino, veterinario comunale, e da N. Vaccarino…
Ezio crebbe in una famiglia di sani principi cristiani… Da studente
universitario ricoprì la carica di segretario del locale G. U.
F.(Gruppo Universitario Fascista)… Nel marzo del 1941, in pieno
periodo di guerra fu chiamato alle armi ed inviato a frequentare il
corso di allievi ufficiali di complemento… Nel marzo del 1942 Ezio
termina il corso ottenendo la nomina a sottotenente…(inviato al
fronte russo) cadde combattendo in un lembo di terra lontana, lungo
le rive di un fiume ucraino, il Donez, sacrificando la sua giovane
esistenza nell’adempimento di un patrio dovere, per un ideale in
cui credeva fermamente.3
Sul fronte russo
caddero tanti altri giovani soldati, tra cui lo zio di chi scrive: il
soldato Gurreri Lorenzo. Per il nostro paese furono giorni di lutto e
di dolore per le gravi perdite subite. I più fortunati riuscirono,
in alcuni casi miracolosamente, a far ritorno a Cattolica Eraclea,
dove ritrovarono miseria e disoccupazione.
Finita
la guerra, il popolo sembrò svegliarsi dal torpore e partecipò alla
vita sociale e politica, cominciando a reclamare i propri diritti.
Nel 1944 braccianti e contadini si riunirono per discutere e
fondarono il circolo dei lavoratori, eleggendo presidente l’Ins.
Aurelio Bentivegna e vice presidente Francesco Renda. La sede del
circolo, nato senza colore politico ma orientato a sinistra, si
trovava in via Mons. Amato in vicinanza della chiesa Matrice.
Contrariamente alle previsioni, ebbe vita breve; si determinò una
frattura, tra il gruppo vicino ad Aurelio Bentivegna, che tentò di
trasformare il circolo in sezione del partito socialista, e quello
vicino a Francesco Renda e Giuseppe Spagnolo, che favorì la nascita
della sezione del partito comunista e della cooperativa La
Proletaria
.
Il
movimento contadino reclamava la possibilità di coltivare le terre
ed era guidato dal giovane universitario Francesco Renda e da
Giuseppe Spagnolo. L’organizzazione della sezione comunista fu
allora concepita come lo strumento politico idoneo a far loro
conquistare
la terra, contare di più come classe sociale, avere più libertà
come singoli cittadini.4
L'anno
precedente su sollecitazione del Comitato di Liberazione Nazionale
era nata la sezione della Democrazia Cristiana, per opera di
Salvatore Scifo, Giuseppe De Michele (segretario di sezione), Ignazio
Giuffrida e Antonino Vento (segretario amministrativo). Nel 1944
Aurelio Bentivegna e Giuseppe Petralia aprirono la sezione del
Partito Socialista Italiano. In seguito fecero una breve apparizione
anche quelle del Partito Democratico del Lavoro per opera di Giuseppe
La Loggia, figlio dell’onorevole Enrico, e del Partito d'Azione,
rappresentato da Libertino Mormina e Settimo Russo. Nel 1945-47
furono aperte le sezioni del Partito Liberale, guidato da don Bartolo
Rondelli e dal barone Giovanni Rizzuto, e del Movimento Sociale
Italiano, rappresentato da Rosario Miceli e Giuseppe Ferrara.
Come avvenne per gli
altri comuni, Cattolica ebbe il suo Comitato Nazionale di
Liberazione, formato dai partiti democratici che si erano creati.
Dopo un contrastato confronto, i neo-partiti politici trovarono
l’accordo sulla proposta fatta al Prefetto di nominare alla carica
di Sindaco il Prof. Gaspare Amico, esponente del P.S.I. . Nel
preparare le prime elezioni democratiche, il contrasto più acceso si
sviluppò fra la Democrazia Cristiana e la Sinistra (P.C.I. e
P.S.I.). Come accadde per tutta la provincia di Agrigento, il vescovo
Peruzzo mobilitò il clero di Cattolica Eraclea e l'esortò a
fortificare la D. C. per sconfiggere i partiti dell'ateismo. Mons.
Angelo Ginex ha scritto che il vescovo rivolto ai parroci titubanti
disse:
Questa è l'ora
dei leoni e non dei conigli, se qualche parroco non si sente il
coraggio di affrontare la situazione, senza tradire Cristo e la
Chiesa, farebbe meglio a lasciare subito il suo posto. Guai al
pastore che se ne sta chiuso nella sua deplorevole prudenza quando il
suo gregge viene azzannato dai lupi.5
L’atteggiamento
della chiesa cattolica nei riguardi dei socialcomunisti era di
condanna senza appello; il partito comunista era considerato in tutta
la provincia di Agrigento come opera del demonio e il dichiararsi
comunista:
Un atto
luciferino, una ribellione aperta, e in quanto tale non suscettibile
di remissione.6
Chiesa,
borghesia, pubblici dipendenti e agrari diedero sostegno alla D.C.
che si presentò come un partito popolare e cattolico, in
contrapposizione a braccianti contadini e artigiani, che costituirono
il blocco del popolo d'ispirazione social - comunista. Di quanto sia
stata aspra la lotta politica negli anni che vanno dalla fine della
guerra al 1948, ne dà testimonianza il dibattito-scontro, svoltosi a
Cattolica Eraclea tra Mons. Ginex e Francesco Renda, terminato tra
schiamazzi
e urla. A
spingere gli uomini di chiesa a inserirsi attivamente nella lotta
politica, erano le notizie, che si diffondevano sulle persecuzioni
subite dalla chiesa cattolica nell'U.R.S.S. . D'altra parte, il
proletariato (nei preti, nei prelati e negli agrari di stampo
fascista) vedeva i padroni di sempre, dediti ad arricchirsi e a
insidiare le donne degli altri, e li considerava, secondo un vecchio
detto, gli affamatori
del
popolo.
1F.
Renda, Autobiografia politica, 46.
2A.
Pennino, Reminiscenze sportive, 14.
3A.
Vento, Ricordi di Cattolica Eraclea tra le due Guerre Mondiali,
177-179.
4F.
Renda, Autobiografia politica, 51;
5A.
Ginex, Così nacque la democrazia, 47.
6F.
Renda, Autobiografia politica, 58.