IL FEUDO CAPODISI E IL "CASTIDDRUZZU".

CAPITIS DISII O CAPTEDI


Il casale di Capitis Disii o Captedi fu costruito dai romani tra la fine del II e l’inizio del I secolo a. C. nel tenimento di Monforte o Platani nell’odierna località chiamata Punta di Disi. Probabilmente l’insediamento è stato conseguente al ripopolamento dei territori appartenenti ad Eraclea e, dopo la conquista romana, destinati a sviluppare e migliorare l’agricoltura. Per un certo periodo coesistette con Platani ed i Romani se ne servirono anche per controllare il commercio del sale estratto dalla vicina salina. La cosiddetta via del sale, fin dai tempi più remoti, partiva dalla contrada Salina e si collegava da una parte al fiume Canne (probabilmente l’antico Camico), fino ad arrivare a Cena (nelle vicinanze di Siculiana Marina), e dall’altra alla vicina Platano, da dove, attraverso il fiume, si arrivava al porto di Eraclea. Sulla commercializzazione del sale fin dai tempi di Minoa ci parla Ernesto De Miro, ipotizzando che:

Si sia verificato un insediamento acheo-cretese alla foce dell’Halykos la cui valle avrebbero risalito i mercanti di salgemma.1

Dal Fazello apprendiamo l’esistenza della salina di Platani:

In Sicilia montis salis genitura fecundii; apud Ennam, Nicosiam et Camaratam, ac Platinim 2.


I mercanti di sale greci e romani, risalendo il fiume Halykos fino all’incrocio con l’Acragante (odierno Jazzo Vecchio che costeggia la Giudecca) e oltrepassando Capitis Disii, raggiungevano la predetta salina di Platani. La commercializzazione del sale e dello zolfo nell’antichità era tenuta nella massima considerazione. Il sale era utilizzato per condire e conservare i cibi e come preziosa merce di scambio.

Le poche notizie, storicamente interessanti, che ci sono state tramandate sono sufficienti a farci comprendere come questo territorio abbia partecipato agli avvenimenti che si susseguirono durante le varie occupazioni della Sicilia. Nel periodo medioevale nella contrada Punta di Disi-Borangio (ex feudo Cattà) fu costruita una roccaforte, oggi conosciuta con il nome di castello di Capo di Disi o Capodisi (Castiddruzzu). Fu posta ai piedi della collina del casale Capitis Disii in vicinanza di un torrente che confluiva nel fiume canne. Questa fortificazione presidiava la fertile pianura del tenimento Capodisi e dava riparo ai coloni sparsi nella vallata. Probabilmente subì la stessa sorte degli altri castelli occupati dagli Arabi prima e in seguito conquistati dai Normanni-Svevi. Dopo la definitiva conquista, l’imperatrice Costanza con testamento del 1195 ha lasciato alla Chiesa di Palermo i casali di Platani e Captedi (Capitis Disii) con il relativo tenimento. La donazione fu riconfermata dall’Imperatore Federico nel 1211 e la chiesa di Palermo li cedette in enfiteusi a vari signori.

Alla morte dell’Imperatore e dei suoi legittimi eredi Enrico e Corrado, con l’incarico di reggente del nipotino Corradino, Manfredi, figlio naturale di Federico II e Bianca Lancia, s’impadronì del regno di Sicilia, mettendosi in contrasto col papato. Pochi giorni prima della sua morte, avvenuta nel febbraio del 1266, il papa Clemente IV aveva dato la corona del regno di Sicilia a Carlo D’Angiò, fratello del re di Francia. Dagli Staufen il regno di Sicilia, che comprendeva l’isola e tutta l’Italia meridionale fino a Napoli, passò ai D’Angiò e i collaboratori di Manfredi furono costretti a rifugiarsi in Africa e in Spagna. La dominazione angioina, tristemente famosa per crudeltà e malversazioni effettuate sul popolo siciliano e per aver trasportato la capitale del regno a Napoli, suscitò la rivolta del popolo palermitano (31 marzo 1282), che in breve si estese in tutta la Sicilia. In quest’occasione, il latifondo di Capodisi con il relativo castello (castrum Borangij), era stato occupato da Manfredi di Aspello e concesso in enfiteusi a Corrado di Castromainardo. Questi, a sua volta, l’aveva affidato in custodia ad un suo fedele amministratore: Beninato Catalano. Questa e altre infeudazioni furono considerate dalla Chiesa usurpazioni dei propri diritti.

Dopo la pace di Caltabellotta (1302), i rapporti tra la Casa Reale d’Aragona e la Chiesa Cattolica migliorarono; la Sicilia fu riconosciuta come feudo della Chiesa di Roma, ma rimase, effettivamente, in possesso di Federico d’Aragona, sotto forma di donazione vitalizia.3 Nel 1303 il tenimento Capodisi ritornò in possesso della chiesa di Palermo, per opera del Giustiziere della Valle di Girgenti:

Casalium Platani et Platanelli, tenimentorum dictorum Capitis disii et fluminis Platani, et piscarae eiusdem fluminis sitorum in tenimento praedicte civitatis Agrigenti, omniumque iurium finium et pertinentiarum eorum.4


Il tenimento di Capodisi e il feudo di Monforte o Platani erano in territorio agrigentino, nella parte compresa tra i fiumi Canne e Platani. Nel 1422 furono concessi in enfiteusi a Gilberto Isfar dall’arcivescovo di Palermo Ubertino de Marinis. Gilberto era un nobile catalano, capitano d’armi valoroso, venuto in Sicilia al seguito di Alfonso il Magnanimo, il quale lo ricompensò nominandolo barone di Siculiana.


CAPODISI OGGI


Da un’escursione fatta sui luoghi, in compagnia degli amici Franco Mangiapane e Gaspare Noto nel 2003, ho potuto constatare l’esistenza di un casale sulla collina chiamata Punta di Disi. Abbiamo raggiunto la predetta località, salendo per la strada che da Cattolica porta in contrada Alvano. Girando sulla destra si arriva in contrada Bordonaro e subito dopo ai piedi della collina presso la località chiamata Grutta do ‘nfernu (Grotta degli inferi). Abbiamo riscontrato la presenza di una necropoli, non databile, con tombe scavate nella roccia, le cui entrate erano ostruite da cespugli spinosi. L’interno delle tombe, violate da molto tempo, era poco praticabile a causa del terriccio che in parte le ricopriva.

In una seconda occasione ( marzo 2009), dai piedi della collina, attraverso un viottolo, siamo saliti in cima ed abbiamo riscontrato che il pianoro soprastante presentava una serie di abitazioni diroccate e tra queste una particolarmente interessante per le sue dimensioni e per il muro di cinta che la circondava. Ci ha fatto pensare che si trattasse di un casale fortificato del periodo medioevale. Nei dintorni erano sparsi cocci di ceramica varia di difficile identificazione, tra cui alcuni di colore rossastro.

Da Punta di Disi si domina tutto il territorio che va dalla Giudecca al monte Giafaglione. Per un viottolo, scendendo dalla collina, siamo arrivati in contrada Borangio e abbiamo incontrato i ruderi di una rocca, chiamata Castiddruzzu o castello di Capodisi. Alla base del fabbricato, costruito sulla roccia, abbiamo notato una grotta dalla forma simile alle tombe a tholos, che in tempi recenti è stata adibita a stalla. Girando intorno al castello, abbiamo notato tre grotticelle, due delle quali in comunicazione tra loro, mediante uno stretto cunicolo.

Nelle vicinanze del piccolo castello di Capodisi scorre un torrente che scende dalla collina, attraversa un’arcata scavata nella roccia, percorre la contrada Borangio, si unisce con un altro torrente e termina la sua corsa nel fiume Canne. Parallelamente al corso d’acqua un viottolo in terra battuta prosegue per le contrade Borangio, Portella di Girgenti e Matarano, costeggia il fiume Canne e arriva a Siculiana. Probabilmente questa era la strada che dal XV secolo in poi gli amministratori degli Isfar et Corilles percorrevano per raggiungere il tenimento di Capodisi e il feudo Monforte de Platina.

MONFORTE


Il tenimento o feudo di Monfortis seu Platani prendeva il nome dalla collina che dominava tutto il territorio e dal fiume che ne segnava il confine. Per lungo tempo la località Monforte è rimasta misteriosa, né si è data tanta importanza all’affermazione di Raimondo Falci che Cattolica era stata costruita “appiè di Monforte”. La collina ai cui piedi si estende Cattolica, altro non è che la località Principotto, oggi così chiamata perché, tra il XVIII e XIX secolo, sul pianoro soprastante c’era la dimora estiva del Principe.

Gilberto Isfar et Corilles, infeudatosi della baronia di Siculiana, pensò d’estendere i propri domini nei territori confinanti, che nel XV secolo risultavano spopolati ed insicuri. Con il beneplacito del re Alfonso il Magnanimo ottenne in enfiteusi dall’arcivescovo di Palermo il feudo o tenimento di Monforte de Platina:


In nomen domini nostri Jesu Christi Amen, Dominice Incarnationis anno millesimo quatragentesimo tertio, mense dicembre decimo eiusdem mensis duodecim Indictionis. Regnante Serenissimo Domino nostro rego Alfonso dei gratia illustrissimo Rege Aragonum Sicilia etc. Nos Fredericus de Vaccatellis … felicis urbis Panormi etc…, Urbanus de Sinibaldis de eadem urbe sacris Apostolica et imperiali auctoritatibus… testamur quam magnificus Dominus Gispertus De Isfar miles regius uxerius et civis civitatis Agrigenti habens tenens et possident quoddam eius castrum vocatum Siculiana cum eius territorio situm et positum in Valle Mazarie predicte regni Siciliae prope feudum seu territorium vocatum de Monforte de Platina et prope marina litura meridionalis plage in medio dicte civitatis Agrigentis et terra Sacce habens aspectum seu existens in oppon… parcium barbarie. Quodquidem territorium Montis Fortis sive Platani fuit et est ab antiquo de mensa reverendissimi domini Archiepiscopi panhormitani et per eidem Reverendissimo Domino Archiepiscopo subiectum ipse magnificus D. Gispertus sp. Dei motus et magno zelo et fervore caritatis accensus ut…… invasionem depredazioni christianorum fidelium que continue fieri solebant et ad huc……per infideles barbaros seu agarenos in marini latoribus dicti territori Montis Fortis sive Platani propre eius de populacionem et incustodiam pluries ac multociens eundem Reverendissimum dominum Archiepiscopum panhorminatum pro se et alios nomine rogaverit… emphiteusim et annum censum alicuius competentis pecunie perpetuo concedere digneretur; et vellet ac sibi placeret offerendo se ipse magnificus in dicto territorio turrim edificari bona et fortem ipsamque bene et sufficiens ac continue facere custodiri a Deo et taliter que christianis et… in litoribus marini dicti territorii praticantibus cunctibus et reddentibus in dictis infidelibus barbaris esset securus a dictus et in ipsius turris hedificantem amplam pecunia summa expendere… etc.5

Nel 1433 le roccaforti di Platano e Capitis Disii erano in stato d’abbandono e non erano più nelle condizioni di difendere i coloni dalle incursioni barbaresche. Probabilmente erano stati distrutti in occasione della riconquista di Federico, dopo il breve periodo della ribellione araba. Contadini e pastori del feudo o tenimento Monforte de Platina vivevano nell’isolamento, soggetti alle incursioni dei pirati barbareschi. La chiesa di Palermo, nell’affidare il feudo ai De Isfar, baroni di Siculiana, oltre all’annuale censo, richiese ai feudatari la promessa di difendere i contadini e i pastori cristiani, mediante la costruzione di una roccaforte nel feudo Monforte de Platina e di una torre nella zona marina di Capo Bianco, vicino alla foce del Platani.

Erano allora trepidanti gli abitatori delle coste marittime pel terrore sparso dalla pirateria. Avea già essa, per sì lungo tempo, formato l’incubo e lo spavento delle nazioni cristiane; ma sospinta, allora appunto, e ingagliardita dalla ferocia dei fratelli Barbarossa, terribili ed indomiti, aventi il covo in Algeri e in Tripoli, avea raggiunto l’apice dell’audacia e dell’attività.”6

1 E. De Miro, Itinerari dei musei, gallerie e monumenti d’Italia, 4.

2 T. Fazello, De rebus Siculis, lib. I, cap.IV.

3 Cfr. F. Renda, Storia della Sicilia, 1.

4 E. Gandolfi, Relazione sul demanio del Comune di Cattolica Eraclea.8.

5 Atto del notaio F. Vaccatellis, in P. Fiorentino, 128 – 129.

6 F. Campo, in P. Fiorentino, 130.

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