LA MIA SICILIA

TRA MITO, STORIA E LETTERATURA

 

SCENA I

(Sullo sfondo il mare e delle barche che stanno per arrivare. Sulla destra un cartellone con dipinti i principali avvenimenti della storia. )

 

(Inizio con l'inno della Sicilia, eseguita dai musicanti e dal coro. Durante l'inno alcune ballerine eseguono un ballo tradizionale  sicano-greco o siculo.)

(Entrano in scena il cantastorie e gli attori che interpreteranno la canzone: L'isola dell'accoglienza.)

 

Vedo gente lottare in mezzo al mare,

migranti senza paura di morire

cercano una terra dove stare

e la loro libertà conseguire.

 

Accoglienza, accoglienza, accoglienza

gridano al cielo, pieni di speranza. (Rip.)

 

Grida di dolore per un figlio perduto;

grida di gioia per essere arrivato.

Lo sguardo triste di uno sconosciuto,

ognuno si sente addolorato!

 

Accoglienza, accoglienza, accoglienza

gridano al cielo, pieni di speranza.(Rip.)

 

 

Cantastorie:(Può essere trasformato in dialetto siciliano.) La storia della nostra terra affonda le radici nelle leggendarie vicende  della civiltà minoica. La nostra bella isola è stata abitata dai tempi più remoti.  Sul nostro territorio sono presenti tracce di culture diverse, che testimoniano la presenza di Sicani, Fenici, Cretesi, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Ebrei e Spagnoli, Piemontesi e Nuovi Barbari venuti dalla Padania! Tutti hanno conosciuto la Trinacria, l'isola del sole e dell‘eterna primavera! Lo scrigno di tante culture, la casa accogliente di tante genti, la storia di tutte le storie:

 

 

Vinniru Sicani e Fenici,

Greci e Romani,

purtaru la guerra e la paci,

vinniru Arabi e Normanni

lu scuru e lu chiaru

l'astuzia e la forza crisceru.

Fu la Sicilia centru dell'Imperu.

Svevi, Angioini e Spagnoli,

tanti nostri figli mureru!

Vinniru Borboni,

'Nglisi e Francisi,

vinniru re Piamuntisi

dicennu d'essiri 'taliani,

pi ammaliari tutti i siciliani.

Stannu arrivannu tanti africani,

cuntrastati da li barbari Padani.

La Sicilia, la terra do suli,

la terra di l'eterna primavera,

è stata e resta sempri una chimera!

 

Cantastorie: Un millennio prima della venuta di Cristo, Dedalo e Icaro, per sfuggire all'ira di Minosse re di Creta, migrano, su una piccola barca a vela, verso la terra del sole:

 

Vola una vela sulle onde del mare,

Dedalo e Icaro voglion fuggire,

dall'isola di Creta  espatriare

e i lor sogni di libertà rinverdire.

Icaro sogna d'essere uccello e volare,

nel cielo azzurro, infinito inseguire

variopinte farfalle catturare,

la sfortuna lo vuole rapire.

Cade in mezzo al tempestoso mare,

mentre il padre continua a dormire.

"Aiuto, aiuto sto per affogare!"

Dedalo dorme e non lo può sentire!

"Aiuto, aiuto sto per affogare!"

Dedalo dorme e non lo può sentire!

Icaro voleva libero volare

il fato crudele lo fece perire.

                                      

SCENA II

Cantastorie: Dedalo fuggito da Creta trova riparo nelle terre sicane. Cocalo accoglie il grande architetto nascondendolo all'ira di Minosse.

(Dedalo giunge alla corte di Cocalo nel mezzo di una festa, nel momento in cui   le tre figlie di Cocalo stanno ballando. Viene interrotto il ballo e l'attenzione di tutti si rivolge verso Dedalo).

Cocalo- (Si rivolge a Dedalo) Sei arrivato dalla lontana Creta e la tua fama di grande inventore ti ha preceduto. Ho sentito parlare di te dai mercanti che sono approdati sulla mia Isola. Cosa vai cercando in questa terra?

Dedalo – Grande e generoso re dei Sicani, sono approdato in questa bellissima isola in cerca di un rifugio sicuro, per sottrarmi alle torture della prigionia, che il crudele Minosse mi voleva imporre. Per tutti gli Dei Onnipotenti, dai aiuto e ristoro a uno sfortunato inventore e io per te costruirò palazzi, città e rifugi sicuri, dove potrai custodire le tue ricchezze. Ti farò padrone della nostra scienza!

Cocalo – La mia gente vuol vivere in pace e  non vuole crearsi dei nemici. Ti darò ospitalità, come è nostro costume, solo per un breve periodo. Poi ti troverai un'altra sistemazione. Non voglio crearmi nemici, non voglio rischiare d'incorrere nell'ira di Minosse.

Dedalo – Grazie, mio signore, cercherò di essere utile alla tua comunità. Non farò correre alcun pericolo alla tua gente. Nessuno sa che sono approdato nella tua terra. Qualora Minosse giungesse in questi luoghi in cerca della mia persona, fuggirò lontano dal tuo regno.

Cantastorie: Passarono alcuni anni e Dedalo costruì per Cocalo una fortezza imprendibile chiamata Camico. Minosse, avuta notizia da un mercante dello sbarco di Dedalo nelle terre sicane, si accinse a sbarcare in Sicilia, per catturare e punire l'inventore infedele, che aveva svelato ai Sicani tutti i segreti delle sue invenzioni. Nello stesso tempo colse l'occasione di dichiarare guerra ai Sicani, per conquistare quelle ricche terre, dove la primavera non finiva mai.

La guerra tra Sicani e cretesi si conclude, in un primo momento, con la vittoria dei Sicani e la morte di Minosse, seppellito in una collina al di sopra della quale fu eretto un tempio. Quella località in suo onore prese il nome di Minoa. Nel corso dei secoli Cretesi, Elleni e Greci conquistarono la nostra isola sconfissero i Sicani e fecero della Sicilia (Sicania o Trinacria) il centro della civiltà della Magna Grecia.

(Ballo tradizionale greco con sottofondo musicale)

CANTASTORIE:

La perla del mare Africano,

ricca di fiori, di profumi e calura,

di sole, di frutti e di grano

divenne centro di cultura.

Empedole, Archimede e Pitagora

Zeusi e tanti altri ancora

insegnarono al mondo conosciuto

l'arte, la scienza, di ogni cosa il contenuto.                                         

SCENA III

CANTASTORIE: Il grande inventore Archimede difese la bella città di Siracusa dai nuovi predoni Romani, chiamati nel 264 dai Mamertini di Messina, per essere aiutati nella guerra contro Siracusa. Infine, tutta la Sicilia dovette cedere alla forza preponderante dell'esercito romano e divenne la provincia-granaio dell'Impero.

La nostra isola, divenuta provincia di Roma, fu ridotta a granaio del mondo conosciuto. I siciliani tutti furono trasformati in abili e fedeli agricoltori.

L'isola del sole tanto amata

chinò la testa all'invasore

e cominciò a pensare.

Prevalse la furbizia e la cultura,

da provincia divenne centro del mare Nostrum

e quindi dell'Impero.

 

VERRE FURIO E CICERONE IN SICILIA.

Cantastorie: -Le vessazioni del concussionario Pretore Verre a danno dei cittadini e delle città furono oltremisura insopportabili, tanto da suscitare un'indagine sul suo operato. I Romani esercitavano sugli abitanti dell'isola il diritto di vita e di morte e in qualche caso costringevano le schiave a esercitare la prostituzione nei lupanari di loro proprietà. Il senatore Marco Tullio Cicerone nell'anno 70 a. C. venne in Sicilia a indagare sulle malefatte di Verre nei confronti dei siciliani, tra cui la famiglia di Furio, lo sfortunato navarca di Eraclea Minoa.

(Dialogo tra Cicerone e la madre di Furio)

Madre di Furio:- Ti saluto Nobile Senatore Romano, sono la madre dello sventurato Furio, navarca di Eraclea, che giace in prigione. (Inginocchiandosi davanti a Cicerone gli prende la mano.) Ti supplico, grande Senatore, rendi giustizia al mio sfortunato figlio e a una mamma che non riesce a darsi pace per le pene che l'affliggono.

Cicerone:- Alzati donna. Voglio ascoltare il racconto dell'ingiustia subita da tuo figlio.

Madre di Furio:- Verre, nostro governatore, ha inviato mio figlio a combattere una battaglia suicida contro i pirati barbareschi nei pressi di Siracusa, per allontanarlo dalla bellissima moglie, di cui si era invaghito. Dopo una cruenta battaglia, mio figlio a stento è riuscito a salvarsi da un naufragio e quando è ritornato nella sua città, dal crudele Verre è stato ingiustamente accusato di diserzione e imprigionato. Ora non abbiamo più notizie di mio figlio Furio e mi rivolgo a te grande Senatore Romano per avere...

Cicerone: -  La moglie di Furio vive con te?

La madre di Furio: - No, mio nobile signore, Verre la tiene prigioniera nel suo palazzo, per saziare la sua sete di potere sulle cose, sugli uomini e sulle donne.

Cicerone – Non temere, accerterò i fatti e farò tutto quello che è nei miei poteri.

Cantastorie: - Cicerone accertò che Furio era stato ingiustamente condannato, ma non riuscì a salvargli la vita, poiché Verre, venuto a conoscenza dei suoi propositi, si affrettò a giustiziarlo. Ancora una volta l'ingiustizia umana ebbe il sopravvento!

Furio grida al vento

il perenne dolore della terra,

inutilmente invoca la giustizia,

è giunta la sua ora!

Un crudele carceriere lo trafigge,

per ordine del Pretore Verre.

                                                 SCENA IV

Cantastorie: - Gli Arabi conquistarono la Sicilia (842) e vi rimasero fino al 1042. In questi due secoli diedero un grande contributo allo sviluppo economico e sociale della Sicilia. L'agricoltura rifiorì; la Sicilia apparve come la terra dell'eterna primavera. Gli Arabi amarono la Sicilia. Uno sconosciuto poeta arabo, nato in Sicilia, così disse quando fu costretto ad allontanarsi:

Io anelo alla mia terra,

come nelle tenebre anela al suo paese natio

un vecchio cammello smarrito nel deserto.

 

(Ballo e canto)

CORO: Beddra Sicilia mia, terra adurusa,

'mpastata di zuccaru e meli,

di aranci, limuna, matri amurusa,

cummigliata di zagara e di veli.

Li to figli disianu turnari,

pi truvari la paci di lu cori

e nun virsari cchiù lacrimi amari

a la strania, sulu e senza amori.

                                                

SCENA V

Cantastorie: - Normanni e Svevi strapparono la Sicilia agli arabi e con  Federico II,  chiamato "la meraviglia del mondo", Palermo s'impose come centro dell'impero. Da questa meravigliosa città ebbe origine la lingua italiana con i componimenti di alcuni poeti che vivevano e lavoravano alla sua corte.  Con i poeti Giacomo da Lentini e Cielo d'Alcamo viene tenuta a battesimo la lingua volgare siciliana, che ben presto alcuni imitatori fiorentini trasformeranno nella lingua italiana.

Giacomo da Lentini:

Meravigliosamente

un amor mi distringe,

e mi tene ad ogn'ora

com'om che pone mente

in altro exemplo pinge

la simile pintura,

così, bella, facc'eo,

che 'nfra lo core meo

porto la tua figura.

Al cor m'arde una doglia,

com'om che ten lo foco

a lo suo seno ascoso.

 

Poesia-canzone di Cielo d'Alcamo e la sua donna.

Cielo d'Alcamo: Rosa fresca aulentissima

 ch'apari inver la state,

per te non ajo abento notte e dia.

La donna: Ché male messe forano

in teve mie bellezze.

Se tutto addivenissemi,

tagliarami le trezze.

Chiù bella donna di me troverai...

Poi tanto trabagliastiti,                     

faccioti meo pregheri,

che tu vadi addomànnimi                 

a mia mare e a mon peri.

Cantastorie: - Con i Normanni si gettarono, proprio in Sicilia, le basi dello stato moderno. Palermo ebbe il primo Parlamento monarchico costituzionale. Imembri del Parlamento avevano il diritto-dovere di eleggere il re, quando veniva a mancare il legittimo erede. Inoltre, sconfitti definitivamente gli Arabi, cristianizzarono l'isola e si conquistarono la fiducia e l'approvazione della Chiesa Cattolica Romana, che in quel periodo dominava anche in Sicilia.

                                                 SCENA VI

Cantastorie: -Dopo gli Svevi vennero gli Angioini, i quali trasferirono a Napoli la capitale del regno, suscitando il malcontento popolare. Una dura politica fiscale e la convivenza con i soldati francesi, che consideravano le donne siciliane loro proprietà, fecero scoppiare una rivolta popolare:

Canzone che parla dei vespri siciliani.

Fora i Francisi da la terra nostra,

ca 'unn'hannu rispettu pi li donni!

Ammazzamuli e facemmuni mostra,

'mpidemucci di fari atri danni. (Rip.)

Cantastorie: -Gli Aragonesi subentrarono agli Angioini con Pietro III d'Aragona e rimasero nell'isola dal 1282 al 1412. La sfida a duello dei due re, per risolvere l'eredità del regno, si rivelò una vera e propria burla. Tutto era pronto, ma nel giorno stabilito sul luogo dello scontro si presentarono in orari diversi e si proclamarono entrambi vincitori. (Duello-burla)

(SCENA del duello burla tra Carlo D'Angiò e Pietro D'Aragona)

(Entra Carlo con due suoi uomini)

Carlo – Son qui giunto per porre fine alla vita dell'usurpatore! Miei fedeli padrini, voglio che il duello sia all'ultimo sangue! Deve restare un solo Re, un vero Re, a regnare nelle Due Sicilie!

 

Uno dei padrini - Mio sire, tra nobili di cotanto rango, non è consentito un duello all'ultimo sangue. E poi, queste regole vanno discusse con la parte avversa, che ancora non è arrivata.

Carlo - Hai ragione, ma io non voglio discutere e non ho tempo da perdere! L'ora dell'appuntamento è passata. Sono sicuro che quel vigliacco non si presenterà.

Uno dei padrini - Forse ha avuto un contrattempo, tra un po' arriverà.

Carlo: Ritorniamo a Palazzo. Sono stanco di aspettare. Ho bisogni urgenti da sbrigare.

(Esce Carlo e i suoi padrini e dopo un po' entra Pietro con i suoi uomini).

Pietro: Non c'è nessuno ad attenderci. L'Angioino ha avuta paura e non si è presentato. Buon per lui, altrimenti l'avrei infilzato! Inutile aspettare, torniamo in città a divulgare la notizia della sua codardia!

Uno dei padrini: Aspettiamo ancora un po', avranno avuto qualche impedimento, come è successo a noi.

Pietro – Non dire fesserie! Ha avuto paura e non si è presentato. Il Regno delle due Sicilie è nostro e resterà nostro! Torniamo a palazzo.

(escono tutti).

 

                                                 SCENA VII

Cantastorie: Il regno degli Spagnoli iniziato nel 1412, finì nel 1713. Rifiorì la cultura siciliana, fu fondata l'università di Catania. Le ricchezze del Regno erano note a tutti. I nobili feudatari siciliani si ingrassarono sempre di più e continuarono a esercitare il diritto della prima notte (ius primae noctis), ma il popolo continuò a soffrire la fame e i soprusi dei potenti. Operai e braccianti agricoli lavoravano dalla mattina alla sera, ma non riuscivano a sfamare le loro famiglie. Eppure abitavano nell'isola più ricca d'Europa!

'U viddranu.

Solista - Sugnu un poviru viddranu jurnateri,

iu vaiu notti e jornu a travagliari

e quannu tornu, trovu a me muglieri

e a li me' figli chi vonnu manciari!

Pani nun portu e mancu cumpanaggiu

e diriccillu mi manca lu curaggiu,

nun mi pagaru no, pi 'stu 'ncaggiu,

lu me patruni vozi fattu omaggiu!

Coro – Sempri accussì da li tempi antichi,

a me nannu tuccavanu i muddrichi!

A 'i gabbilloti iva la sustanza,

omini tutti chini di 'mpurtanza!

Solista – Lu munnu è fattu in modu spiciali,

cu striscia 'n terra e cu havi l'ali.

Cchiu di tutti mancia lu spizziali,

strinci la cigna sempri 'u jurnateri!

Coro – Mancianu assa' nutara e parrina,

pani e cipuddra toccanu e viddrana;

li megliu cosi vannu a li duttura,

pi li malati cci su' sulu dulura!

Solista – Si 'u munnu fussi fattu 'n'atra vota

tanti cosi avissiru a spiriri;

senza sanguetti facissimu a ricota

e li malanni avissiru a finiri!

Coro – Ed ogni omu avria li so ali

e 'n terra a nuddru vidissimu strisciari!

Ed ogni omu avria li so ali

e 'n terra a nuddru vidissimu strisciari!

I Borboni: Il regno delle due Sicilie - Francischiello e gli altri.

CANTASTORIE: Il regno dei Borboni, benché famoso per le sue ricchezze, manteneva il popolo in angustie e ristrettezze, tali da essere insopportabili e spingere alla ribellione. Ecco cosa accadde nel 1848, anno proverbiale per dire che successe di tutto: omicidi, ruberie, sollevazioni popolari.

 

CANZONE POPOLARE

A li dudici di jnnaru quarantottu

spinci la testa ddu Palermu afflittu,

misi focu a la mina e fici bottu,

cu grolia ha vinnicatu lu sò grittu:

di vecchiu ch'era, accumpariu picciottu,

spinci la manu cu lu pugnu strittu,

lenta a Burbuni un putenti cazzottu:

-Tiniti, Majstà, vi l'avia dittu!

Vi l'avia dittu cu la lingua sciota,

vi la pigghiasti pri 'na smafarata;

lu dudici di jnnaru lu dinota

ca era pronta la grannuliata...

 

Re Ferdinando morì nel maggio del 1859 lasciando al figlio Francischiello, in odore di essere iettatore  in quanto la madre era morta al momento della sua nascita, il regno delle due Sicilie. Nel popolo siciliano cominciò a diffondersi questa canzone:

Cicciu nasciu,

so matri muriu;

Cicciu si maritau,

so patri cripau.

Ora ch'è re,

viditi chi cc'è!

 

                                                

SCENA VIII

Cantastorie: La spedizione dei mille in Sicilia, concordata da Francesco Crispi e Garibaldi, prevedeva che, prima d'intervenire, doveva scoppiare un tumulto a Palermo. Francesco Crispi e i suoi amici si diedero da fare e scoppiarono dei tumulti in tante città, a Palermo quello che poi fu chiamata la rivoluzione della Gancia. Garibaldi a capo di un gruppo di volontari, circa 752, di cui 45 siciliani, il 5 maggio del 1860 partì da Quarto e  l'11 sbarcò a Marsala. A Salemi si proclamò dittatore in nome del re Vittorio Emanuele II.

Per comprendere fino in fondo come i ceti popolari siciliani abbiano percepito il Risorgimento, occorre ricordare che in tutti i moti che si sono succeduti nel corso del XIX secolo, dal 1820 al 1848, dal 1860 al 1866 al 1894, le masse popolari, in larga misura costituite da contadini, sono sempre insorte nella speranza di conquistare la terra, tanto è vero che tali moti furono sempre l’occasione per procedere all’occupazione di territori demaniali.

                    La canzone di Garibaldi.

Solista – Si 'ntisiru li corpa di cannuna

               di Palermu scapparu i cavalera,

                difinsura di la famiglia Burbuna,

               o paisi spunta la primavera. (Rip.)

Coro:       Vinni pi natri lu libbiraturi

                 am'a canciari culuri a li banneri!

                 Si voli Diu, si voli lu Signuri

                 a Garibaldi avemu timuneri!

Solista -    'Mmanu iddru teni 'u triculuri

                  e parla pi lu re c'hav'arrivari,

                  chiama li giuvani d'arduri

                  'nzemmula cu iddru a luttari.

                  Dall'isula parteru tanti liuna,

                  cu la cammisa russa, garibaldina,

                  subbitu 'ntunaru 'sta canzuna:

                  dumani a nostra panza sarà china. (Rip.)

Coro -        Centu cci appizzaru pinni e strazzu,

                   a tanti cci cuminaru un bruttu scherzu,

                   persiru 'a spranza, ristaru senza vrazzu

                   e pi manciari, paganu un caru prezzu!

Solista -      limosina dumannanu e cavalera,

                   italici chiamati, ma patruna,

                 ca ristaru comu prima cani livrera,

                 ora appujati da li pulintuna! (Rip.)

 

Tanti furono i poeti che celebrarono la conquista della Sicilia in modo diverso:

Discurru non di primu e non di fini

cuntu di Caribardi lu talentu:

vicinu di Milazzu, o miu Carini,

vintunu lugliu fu cummattimentu

………..

E Caribardi, primu Generali,

ca d’ogni guerra porta vincitòria,

cci ha jiutu ‘n puppa a li napulitani:

arristirà a stu munnu pri memoria.

………..

Lu Capitanu vuleva turnari,

Caribardi cci chiusi la strata;

lu so cavallu cci ha jiutu a pigghiari:

-Arrènniti, o arma scelerata! –

………..

Caribardi la sciàbula vutari
fici ‘nta un corpu comu la Giuditta,
mortu ‘n terra lu fici cascari:
d’u Capitan unni fici minnitta.
Quattru surdati ccu ‘i sciabuli addritta
jévanu contra di lu Generali;
ma Caribardi ccu la so distrizza
morti ddà ‘n terra li fici cascari.
etc. etc.

Altri canti e poesie della “disillusione” sono costituiti, ad esempio, dai seguenti:

Vittoriu Manueli chi ffacisti,
la miègghiu ggiuvintù ti la pigghiasti – (Canicattini Bagni)
Quantu petri cci vuonnu a ffari un ponti
quantu peni si pati ppi n’amanti.
Vittoriu Manueli cchi ccosi facisti
ccu n’amanti c’avìa mi la livasti,
vi lu purtastivu ddrabbanna Turinu,

Vittoriu Manueli l'assassinu– (Buccheri)

Vinni cu vinni e cc’è lu triculuri

Vinniru milli famusi guirreri
Vinni ‘Aribaldi lu libbiraturi
Nta lu so cori paura nun teni.
Ora si ca finìu Ciccu Burbuni!
La terra si cci grapìu sutta li peri
Fu pri chist’omu cu la fataciuni
Ca la Sicilia fu libbira arreri.
……….
Di unni detti la grazia, e ci arrivai
Vidiri subissàrili ntra un nenti!
Lu triculuri e la bannera aviti
Siciliani e ‘Taliani uniti!

 

                                                

 

SCENA IX

Cantastorie: Garibaldi e le sue valorose camicie rosse liberarono la Sicilia dalla tirannide borbonica e la consegnarono nelle mani dinVittorio Emanuele II il "Piemontese".

Si passò, a detta di qualcuno, dalla padella alla brace. I Savoia introdussero nuove tasse e, quel che fu più grave, la leva obbligatoria, che continuarono a pesare sulle spalle della gente più povera. Con l'unità d'Italia i Gattopardi fecero finta di cambiare tutto, per non cambiare niente! Con i piemontesi la condizione economica degli agrari migliorò, quella del popolo siciliano si aggravò: la miseria la faceva da padrone. La gente trovava sfogo nel canto:

Vulemu a Garibaldi,

però senza la leva,

pirchì si cc'è la leva

canciamu la bannera!

 Vulemu a Garibaldi

c’un pattu: senza leva.

E s’iddu fa la leva,

 

canciamu la bannera.

 

Lallarallera lallarallà!

 

                                                

                                                 SCENA X

IL FASCISMO

Cantastorie: La prima guerra mondiale portò pianto e lutto in seno alle nostre famiglie, che conobbero i morsi della fame, il dolore e la successiva rassegnazione. Il dopoguerra regalò al popolo, oltre a una gravissima crisi economica, il prorompente Fascismo con la conseguente perdita della libertà personale. Calamità che furono accettate passivamente, come se fossero state volute dal destino. La propaganda fascista usava tutti i mezzi per farsi accettare.

Lu fascista

Solista – Omini e fimmini taliati 'n celu,

'mmezzu a tanti 'na sula stiddra luci,

livativi dall'occhi 'u vostru velu,

taliati lu visu di lu nostru duci!

Coro- Duci ca nni mostri lu caminu,

portani 'n guerra, rialacci la gloria!

Tu si patruni do nostru distinu,

viva lu Re e la Riggina Vittoria!

Solista- Li nivuri vasarannu la to manu,

ca duna o populo pani e lavoru,

manu divina vinuta di luntanu

pi dari a tutti lu veru ristoru!

Li porti aperti su' lassati,

li dilinquenti senza li scupetti,

comu cani senza denti scracculati,

tennu li mani so sempri cchiù netti!

Coro- Siddru la sicurezza vo' accanzari,

basta a lu Fascismu aderiri!

Iddru sulu nn'hav'a cumannari

e natri sempri pronti a ubbidiri!

La guerra è una brutta cosa! Non c'è giustificazione che tenga. Una testimonianza sugli effetti prodotti dalla seconda guerra mondiale ci viene da Andrea Camilleri:

Camilleri cieco, seduto su una sedia racconta:

"Quando anche noi italiani entrammo in guerra nel 1940 come alleati di Hitler, io non ne fui tanto entusiasta perchè a casa avevo visto le mie due nonne piangere silenziosamente. Nella guerra precedente ognuna di loro aveva perduto un figlio caduto in combttimento. "La guerra, mi disse carezzandomi Nonna Elvira, è sempre una cosa maledetta." Anche papà in quei giorni girava per casa con il volto rabbuiato e una mattina lo sentii dire a mamma che la dichiarazione di guerra era stata un atroce errore di Mussolini. Rimasi allibito. Papà aveva fatto in prima linea la guerra del '15-18 e poi era stato un fascista della prima ora. Ma insomma, mi chiedevo tra me e me, se Mussolini era infallibile, come andavano dichiarando i gerarchi, se Mussolini era l'uomo della Provvidenza mandato da Dio per il bene dell'Italia, come andavano predicando i preti a scuola, per quale ragione aveva potuto commettere un simile errore?

Cantastorie: La risposta popolare al Fascismo, in un primo momento accettata supinamente, allo scoppio della guerra cominciò a manifestarsi con una certa ironia.

L'ANTIFASCISTA

Solista – Lu corvu è già calatu 'nti la chiazza

cu 'u Duci 'mmucca e l'amaru 'nto cori,

gridannu paci, ordini amminazza

cu lu fucili e vuci di tinori!

Coro- Circannu paci, truvamu la guerra,

circannu amuri, cc'è odiu 'n terra,

di sangu è lordu lu nostru pani;

l'omini su tutti gatti e cani!

Solista- Duci comu lu feli di l'armali

cu 'st'acqua nun ci pò no dissitari!

Tu vò vulari anchi senza ali

e tuttu lu munnu tu vò cumannari!

Coro- Circannu paci, truvamu la guerra,

circannu amuri, cc'è odiu 'n terra,

di sangu è lordu lu nostru pani;

l'omini su tutti gatti e cani!

Hnn'a finiri 'sti tempi maliditti!

S'hav'a 'stutari 'stu focu addrumatu!

Ognunu accanzirà li so' diritti

e l'omu sempri sarà rispittatu!

Coro- Circannu paci, truvamu la guerra,

circannu amuri, cc'è odiu 'n terra,

di sangu è lordu lu nostru pani;

l'omini su tutti gatti e cani!

 

                                                 SCENA XI

LA FINE DELLA GUERRA

Cantastorie: Il Fascismo portò l'Italia  in guerra. La parte migliore del popolo siciliano: la gioventù fu condotta al macello. I nostri giovani versarono il loro sangue in Africa, in Grecia, in Russia e sul nostro stesso suolo. Nel luglio del 1943 per la nostra isola cessarono le ostilità. L'esercito degli alleati, aiutato dalla mafia isolana, che il Fascismo aveva distrutto solo a parole, era sbarcato a Gela e aveva occupato con facilità quasi tutta la Sicilia.

 

LA TRASUTA DI L'AMERICANI.

Finì la guerra, traseru l'alliati

e pudistà, parrina e marchisi

vidennu 'nglisi, 'miricani, surdati

s'arrinneru a  nomu de' paisi.

 

Cci dissiru: "Trasiti, 'un vi scantati,

tutta chista genti chi viditi

e cuntenti, pirchì nni libbirati,

resistenza 'nti natri 'un nni truvati!

 

Lu Fascismu nn'ha tinutu 'nchiusi,

semu tutti vecchi e povira genti,

ognunu ha rispittatu li so usi

e do Fascismu nun ci 'mporta nenti!"

 

Povira burghisia rintanata!

Duttura, farmacista e pruvissura,

cu la cammisa nivura strazzata,

sciraru i tessiri tutti a prima ura!

 

"Nnuccenti sugnu! Adirivu a lu Fascismu

e 'ddra tessera mi l'haiu pigliatu

sulu pi guardarimi lu immu!

Vasinnò nun saria no 'mpiegatu!"

 

L'alliati crideru o giuramentu

e lassaru 'ddra genti a cumannanti,

dettiru ai paisi 'stu turmentu,

chioppi... scampà e tiramu avanti!

                                                 SCENA XII

IL DOPOGUERRA

Cantastorie: Dopo la guerra, carestia e fame cominciarono a tormentare il popolo siciliano. Scoppiarono tumulti nelle principali città e nei paesi. I contadini e i braccianti reclamavano migliori condizioni di vita. Aspiravano a un pezzo di terra da poter coltivare senza essere sfruttati dagli agrari. La miseria portò il popolo siciliano alla rivolta. (Citare le città principali: Palermo, Agrigento, Catania, Messina e alcuni paesi della Sicilia (Sciacca, Menfi, Cattolica Eraclea e  quello in cui si va a recitare.)

Cumiziu e assartu.

Arrivà l'ura e lu mumentu

di fari cu li ricchi 'u nostru cuntu,

hann'a pagari tuttu 'u sirvimentu,

seculi di fami, senza scuntu!

 

Nn'hannu trattatu peggiu di l'armali,

scecchi di issara a testa 'n terra,

ora ch'è ura priparati l'ali,

tutti 'nzemmula am'a fari chista guerra!

 

Emu tutti contru  a lu palazzu,

lu furmentu l'am'aviri a bassu prezzu,

cu li paroli, o puru cu lu vrazzu,

di pani nn'aviri tutti un pezzu! (Rip.)

 

 

                                                 SCENA XIII

 

L'EMIGRAZIONE

Cantastorie: La riforma agraria, voluta dalla legge Sullo, non aveva dato ai siciliani il benessere che si aspettavano. Negli anni 50-60 si verificò una massiccia emigrazione verso l'America ricca e l'America povera, verso il Nord Italia e verso la Germania.

I giovani abbandonavo i loro vecchi e le loro innamorate con la pena nel cuore, ma con la speranza di trovare una terra, che non fosse matrigna, e un lavoro che consentisse loro di vivere dignitosamente e crearsi una famiglia, senza sottostare al potere degli agrari e della mafia. 

LITTRA DI UN FRATI

Lassa 'ssa terra senza cori,

veni 'cca in cerca di furtuna

dicilu a li nostri genitori

l'America è ricca... 'un c'è patruna!

T'aspetta 'n'atra sorti, 'n'atra vita,

travagliu e libbirtà a larga manu!

Si la mammuzza nostra è cunfusa

giuracci pi mia ca tornamu!

Coro – La navi parti, si nni va luntanu

lu sciuri sciuri di li siciliani,

chiancinu l'occhi, salutanu li manu,

mentri lu cori avi li casdani!

La chiazza granni / Lassa 'ssa terra senza cori!

La so vuccuzza nica / Veni cca' 'n cerca di furtuna!

L'amuri senza 'nganni  / Lassa 'ssa terra senza cori!

La fimmina all'antica / Veni cca' 'n cerca di furtuna!

Lassu l'amuri...

giuru di turnari...

oh Diu! Chi duluri,

e megliu nun pinsari!

L'amata terra...

amata terra mia!

Coro – La navi parti, si nni va luntanu

lu sciuri sciuri di li siciliani,

chiancinu l'occhi, salutanu li manu,

mentri lu cori avi li casdani!

                                       SCENA XIV

                              (Un politico, il suo segretario e un militare)

Cantastorie: L'esistenza della mafia in Sicilia si perde nella notte dei tempi. Tutti ne conoscono l'esistenza, ma nessuno dei politici e scrittori ne parla fino agli anni 60. Il primo che ne parla, con cognizione di causa, è Leonardo Sciascia nel romanzo "Il giorno della civetta".

Politico:- (Rivolto a un militare) Mendolia... Ha detto cose da far rizzare i capelli: che la mafia esiste, che è una potente organizzazione, che controlla tutto: pecore, ortaggi, lavori pubblici e vasi greci... Questa dei vasi greci è impagabile: roba da cartolina del pubblico... Ma dico: perdio, un po' di serietà... Voi ci credete alla mafia?

Militare - "Ecco..."

Politico - "E voi?"

Segretario - "Non ci credo!"

Politico - "Bravissimo. Noi due, siciliani, alla mafia non ci crediamo: questo, a voi che a quanto pare ci credete, dovrebbe dire qualcosa. Ma vi capisco: non siete siciliano, e i pregiudizi sono duri a morire. Col tempo vi convincerete che è tutta una montatura.

Cantastorie: Passarono dieci e più anni, la gente si rifiutava di parlare di mafia, nascondeva la polvere sotto il tappeto. Iniziò la stagione delle bombe: caddero giudici, politici, carabinieri. Morirono Falcone e Borsellino, due siciliani che combatterono la mafia a viso aperto. La gente si svegliò dal torpore; la fine dei due giudici simbolo, diede origine a una stagione di lotta alla mafia senza tentennamenti!

 

Canzone che celebra la morte di Falcone e Borsellino.

Chi cosa tristi successi a Palermu,

pi sempri lu tirremu nni la menti.

Li iudici c'avianu puzu fermu,

sataru all'aria comu fussi nenti!

Falcone e Borsellino nn'ammazzaru,

belvi crudeli, senza sintimentu!

Li giuvani a li vecchi lu cuntaru

du' eroi 'un ci su' cchiù, granni turmentu.

Chianci Palermu e tutta la nazioni,

li guvirnanti fannu la parata,

giuranu giustizia a la pubblica opinioni,

 ma tutti sannu ch'è farsa la parlata!

La genti chianci e nun ci duna cuntu,

friscanu e gridanu vatri itivinni,

la curpa è vostra, nun fareti nenti!

 

                                                 SCENA XV

 

I MIGRANTI.
Cantastorie: Nell'ultimo decennio si è verificata una straordinaria migrazione di gente, proveniente dall'Africa, che fugge dalle guerre  e dalla fame. Partono alla disperata dalle loro terre, sperando nel sogno europeo, come noi abbiamo sperato nel sogno americano. Accoglienza, accoglienza, accoglienza! Respingimento! L'Italia mette da parte le ragioni del cuore e porta avanti le necessità della pancia! Come si può essere insensibili al grido di dolore e all'invocazione di aiuto di chi rischia di morire in mezzo al mare, sperando di essere accolto da un'Europa che si dichiara umanitaria e cristiana!... Scusate, non siamo in Sicilia, la terra dell'accoglienza, siamo in Padania, nella ricca Padania dove impera il dio-denaro!

 

Vedo gente lottare in mezzo al mare,

migranti senza paura di morire

cercano una terra dove stare

e la loro libertà conseguire.

 

Accoglienza, accoglienza, accoglienza (CORO E BALLERINE)

gridano al cielo, pieni di speranza. (Rip.)

 

Rispondono i nuovi barbari padani

non c'è posto per migranti stranieri,

prima pensiamo agli italiani,

da noi non vogliamo forestieri!

 

Respingimento, respingimento, respingimento! (CORO E BALLERINE)

Andate via, ritornate a casa!

I  porti sono chiusi al momento,

Andate via, ritornate a casa!

 

Grida di dolore per un figlio perduto;

grida di gioia per essere arrivato.

Lo sguardo triste di uno sconosciuto,

ognuno si sente addolorato!

 

Accoglienza, accoglienza, accoglienza

gridano al cielo, pieni di speranza.(Rip.)

 

 

LA SPERANZA NEL FUTURO.

Cantastorie: Diceva il grande poeta Quasimodo, premio Nobel per la Letteratura: "Ognuno sta solo sul cuor della terra/ed è subito sera." I migranti vivono nella solitudine e, sbarcando in Sicilia, sperano  di stringere una mano amica, prima che la loro storia si concluda. Lampedusa viene vissuta come la porta dell'Europa, come l'isola dell'accoglienza. Non sempre le speranze hanno un lieto fine. Tanti, anzi troppi, muoiono in mare e le organizzazioni umanitarie non riescono a dar loro l'aiuto necessario, anzi neanche una tomba dove riposare per l'eternità! Cosa fanno gli uomini, che con il Rosario in mano si professano cristiani? Chiudono i nostri porti, chiudono le porte dell'Europa! Attenti Siciliani! La barbara cultura padana sta prendendo piede anche in Sicilia!

Sicilia, amata terra mia,

Regina del Mediterraneo,

svegliati dall'atavico sonno,

non ascoltar le sirene padane,

ma la voce del cuore

che ti parla d'amore,

libertà e fratellanza

nel nome di Cristo Signore!

Accogli chi implora il tuo aiuto,

apri le porte del mare,

salva le vite umane

che giungono sulle tue rive!

Dona la chiave dell'amore

ai migranti di colore!

Accettali come fratelli,

son tutti nostri gemelli! (Rip.)

                                                           FINE

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